3 minuti per la lettura
di GIOVANNI RUSSO SPENA*
Credo che l’intervento nel dibattito sul rapporto tra mafie e sistema di potere di due importanti sindacalisti della Cgil come Covello e Di Blasi possa essere il primo tratto di una presa di coscienza di massa. Si parla, infatti, di una incapacità della società calabrese e meridionale di diventare protagonista di impegni e percorsi di legalità e di libertà. L’esperienza di lunga militanza in associazioni come “Libera” e in Commissione parlamentare antimafia permette di ricollegare la parziale passività di massa alle contraddizioni del sistema informativo, alle lacune del sistema formativo, al cinismo e all’omertà del sistema di potere. Combattere l’economia criminale è paradigma fondativo di una nuova etica pubblica. Ma basta ricordare che l’Italia è uno dei paesi che ha firmato ma non ancora ratificato la Convenzione penale europea sulla corruzione del 1999, mentre siamo di fronte ad una corruzione diffusa e pervasiva dei poteri dominanti. E non dimentichiamo che è stato depenalizzato un reato, il “falso in bilancio”, che è alla base dei fondi neri che alimentano le attività corruttive. Siamo di fronte ad un vero e proprio sovversivismo corruttivo e “predatorio”. Il quale allude alla necessità di una vera e propria lotta politica e sindacale di massa. E’ convinzione nostra (ma anche di studiosi di sinistra e liberali a livello mondiale) che l’interazione crimine/economia/potere, che assume caratteristiche di un vero e proprio “modello”, configura una forma/stato e una forma/regione permeate di cultura mafiosa perché le mafie sono diventate parti integranti dei processi di accumulazione economica, dei processi di valorizzazione dei capitali globalizzati. Le mafie non sono “bande armate terroristiche”. Come affermavano (e pagarono con la vita) Pio Latorre, Impastato e tutti gli eroi civili dell’Antimafia, la mafia non è solo comando militare sul territorio; la mafia non esisterebbe senza l’intreccio con la politica, con la finanza, con l’amministrazione. La mafia non è “fuori e contro” lo Stato; è “dentro” e, spesso, “con” lo Stato, controllo sulle istituzioni, “alleanza e compromesso” con il potere. Non a caso siamo, oggi, di fronte alla costituzione di una vera e propria “borghesia mafiosa”, che vive sull’intreccio tra economia legale ed illegale, nella “zona grigia” in cui sempre più convivono politica ed affari. Come possiamo attivare processi di partecipazione di massa a percorsi di legalità se non sappiamo nominare i rapporti tra mafie e poteri amministrativi, tra mafie e imprese, con un mercato del lavoro dell’economia criminale che cresce proprio sfruttando la disperazione sociale della disoccupazione e delle precarietà (che stanno generando, nelle regioni meridionali, una vera e propria mutazione antropologica)? E’ tesi priva di ogni fondamento scientifico ed empirico (eppure ampiamente diffusa anche a sinistra) che le mafie siano un fenomeno arcaico, una nicchia di arretratezza; esse sono, invece, parte integrante della cosiddetta “modernizzazione”. La borghesia mafiosa, infatti, ha rilevanti risorse manageriali, finanziarie, perfino tecnico/scientifiche: basti pensare a settori del potere accademico, notarile, medico, bancario, eccetera. Queste relazioni mafiose vivono, spesso come compenetrazione, nei campi degli appalti pubblici e, soprattutto, dei rifiuti. Il tramite principale è quello Del “riciclaggio” (attuato all’interno del sistema finanziario cosiddetto legale), che riconverte il reddito criminale in proventi economici apparentemente “puliti”; è qui che si completa il ciclo produttivo dell’economia criminale, anche in Calabria; l’economia della ‘ndrangheta si fonda con l’economia cosiddetta legale. Credo sia compito della “buona politica” disvelare questi meccanismi fondativi se vuole costruire momenti e strutture di ribellione e di autogestione sociale; Ovviamente, le forze sociali e politiche che ambiscono ad avere un ruolo egemone rispetto ad un simile processo, per risultare credibili, hanno l’obbligo di essere rigorose ed intransigenti. In un territorio come quello cosentino e calabrese non si possono tollerare collateralismi, né sono ammissibili tatticismi o meri calcoli di convenienza elettorale.
*Direzione nazionale Partito
di Rifondazione Comunista
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA