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di GIUSEPPE RAFFA
PER Gioia Tauro si è appena chiuso un anno difficile. Potremmo dire catastrofico se si pensa alle asfittiche politiche aziendali messe in campo dal terminalista Mct che, in regime di monopolio, gestisce insieme a quello che fu il primo porto del Mediterraneo anche il destino di oltre 1000 cassaintegrati, fra i 406 diretti e le centinaia dell’indotto. Per la capogruppo Contship il disastro dipende dalla crisi ormai irreversibile del transhipment: tesi che però contrasta con le mega- portacontainers sulle quali le maggiori compagnie del mondo continuano a investire per risparmiare sui costi di trasporto. In quest’ottica per le sue prerogative, che vanno dall’ampiezza delle banchine alla profondità dei fondali, è chiaro che il porto di Gioia Tauro potrebbe farla da padrone, ma così non è, considerato che la Maersk ha lasciato Gioia per Vado Ligure. E poi gli “alti fondali”, finora know-how esclusivo di Gioia, si offrono anche a Trieste e a La Spezia. dunque il futuro dello shipping è in mano alle grandi compagnie che, evidentemente, se si guarda alla progressiva desertificazione di Gioia, la Mct non soddisfa più. E mentre a Gioia le navi diradano, e se arrivano ripartono senza neanche scaricare tutto il carico, i maggiori armatori continuano ad accordarsi per ottimizzare i carichi sulle rotte tra il Far East e il Mediterraneo: si pensi all’accordo fra Msc e Cma-Cgm, per non parlare della fusione che ha dato vita a G6 Alliance, grazie alla joint-venture fra New World Alliance (Apl, Hmm e Mol) e Grand Alliance (Hapag Lloyd, Nyl, Oocl), sì quest’ultima è proprio la stessa cordata che la Contship ha attirato da Gioia a Cagliari, determinando la fine della leadership del porto calabrese. Uno scippo che nel 2008 si è consumato grazie al silenzio accomodante della giunta regionale, dell’autorità portuale insediata dalla stessa, e del governo nazionale (ministero delle Infrastrutture) che, come nessuno mai prima, ha saputo sottrarsi alle responsabilità che gli competevano, senza per questo scatenare una sola critica da parte dei governi regionali e locali che si sono succeduti in Calabria. Oggi inanellare le colpe delle scelte nazionali e regionali verso Gioia e l’area del reggino è il gioco più semplice del mondo: parliamo di una strategia che non ha corretto le politiche territoriali decise da Trenitalia e Rfi; non ha stanziato fondi adeguati per mantenere il servizio universale e la continuità territoriale; ha penalizzato il trasporto pubblico locale fino a determinare l’uscita dal mercato di Ferrovie della Calabria; ha affidato il Piano nazionale della logistica a un sottosegretario piemontese che ha riscritto la mappatura nazionale della intermodalità e della logistica dedicando a Gioia Tauro tre righe, e neanche pertinenti. Sì, perché nel frattempo la Ue deviava perfino il Corridoio 1 da Napoli verso Bari, lasciando alla Calabria e a Palermo una ipotesi di sviluppo che oggi “ci dicono”, si articolerà con i cosiddetti “nodi” , senza spiegarci cosa cambierà rispetto a ciò che già non abbiamo, soprattutto in relazione al trasporto delle persone e delle merci. Uno scenario che evidenzia come l’agonia del porto calabrese non dipenda solo dalle navi che Mct non sa più attrarre. Gioia oggi vale Cagliari perché in entrambi i porti le merci o riprendono il mare o non hanno modo di proseguire il viaggio via terra. Un problema storico che l’Accordo di Programma Quadro del valore economico di 465 milioni di euro avrebbe dovuto sanare ottimizzando la rete ferroviaria che unisce Gioia al resto del Paese attraverso la linea tirrenica e adriatica di Alta capacità. All’autorità portuale che in quest’ottica sta per appaltare i lavori del gateway ferroviario, per circa 20 milioni di euro dico che se non si cambia registro, il progetto non aggiungerà certo speranze ai nostri cassaintegrati. In questa fase difficile il porto di Gioia Tauro ha bisogno di essere governato e per farlo serve, come abbiamo indicato al tavolo regionale presieduto dalla vicepresidente Antonella Stasi nell’intento di superare la crisi, chiedere con forza una revisione della concessione ottenuta da Mct che fra banchine e piazzali ha in esclusiva 1 milione 558mila,047mq (Ha 150) e banchine in metri lineari per oltre 3km. Considerato il progressivo disimpegno del terminalista, ormai palesemente incapace di garantire il traffico per il quale aveva assunto 1200 addetti in una area svantaggiata e agevolata da aiuti pubblici, l’autorità portuale dovrebbe procedere a norma di legge per impedire il disastro d’immagine che Mct provoca al porto con le gru non più operative e posteggiate in attesa di ricollocarsi in altri lidi. Tocca all’autorità portuale affrontare il nodo degli spazi che Mct continua a gestire in esclusiva e senza contropartita adeguata per il territorio, e può farlo grazie al dettato degli artt. 42 e 47 del Codice della navigazione. Solo allora si potrà finalmente iniziare a promuovere il porto sullo scenario dello shipping internazionale, e non soltanto per attività di transhipment. Le soluzioni da prendere in considerazione sono tante e potremo studiarle accuratamente per ottimizzare la presenza della “zona franca aperta” che invece finora non è servita assolutamente a nulla. Dalla prima richiesta di cassa integrazione da parte di Mct sono passati due anni, mentre mancano sei mesi al compimento della Cigs, senza che nulla di nuovo sia ancora intervenuto per rasserenare quanti rischiano la mobilità, o per salvare quello che fu un punto di eccellenza della nostra provincia. Un tema che già in questo mese di gennaio 2012 riprenderò con forza istituendo un “tavolo per Gioia” dove inviterò amministratori, sindacalisti, intellettuali ed esperti in modo da monitorare mensilmente, e nella giusta luce, ciò che accade per invertire questa disastrosa rotta e ciò che interviene per salvare il salvabile. Ai cassaintegrati della Piana infatti voglio dire: non siete soli, dunque non smettete di sperare. La Provincia c’è e vi assicuro che farà la sua parte.
*Presidente della Provincia
di Reggio Calabria
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