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La riapertura delle scuole, appuntamento sempre atteso e temuto, atteso dai genitori e temuto dagli alunni, ha quest’anno un plus di valore tanto da rientrare tra gli eventi eccezionali. Non è una riapertura qualsiasi, un qualsivoglia trillo di campanello che annunci l’inizio della prima ora del primo giorno di scuola, ma un evento memorabile da guardare con simpatia ed apprensione.
Dopo ben sei mesi di assenza dalle classi e dai plessi scolastici, ci si avvicina di nuovo alla Scuola con un fare religioso, come ad un tempio del sapere restato chiuso troppo a lungo. Perché tanta attenzione? Donde deriva tanta solennità? La pandemia, non ancora debellata, ha fermato il mondo nei suoi gangli vitali, ha stoppato l’industria, il lavoro, l’economia, ha chiuso la scuola, le chiese.
Da mesi tentiamo di riprendere la vita nei suoi aspetti fondamentali, permane la paura del contagio, ma, a piccoli passi, riconquistiamo terreno, guadagniamo postazioni come in una guerra di resistenza. La riapertura della Scuola segna quest’anno una data importante nella riconquista della bandiera anche se sappiamo che l’incontrar – si di alunni e insegnanti potrà creare nuovi focolai di infezione: la paura non può ritardare il desiderato primo campanello perché temiamo che il cratere dell’ignoranza possa mietere più vittime e avere conseguenze nefaste più di quante non ne porti con sé il Covid-19.
Più importante della riapertura dei mercati e delle Borse, più vitale delle votazioni regionali appena espletate, la Scuola che riapre diventa luogo per diventare uomini e donne, tempo per il gioco dei ”perché?”, agorà dove passato e presente si danno convegno, cantiere in cui si declina la democrazia e si impara l’arte di apprendere e di insegnare, di ascoltare e di parlare, recinto sacro dove si apprende a socializzare e ad essere squadra, ad essere classi di compagni che cercano insieme e interrogano i grandi della storia, della letteratura, del sapere scientifico.
Diventa corto il respiro di una nazione dove non si faccia scuola, affannoso il cammino dell’uomo dove non ci sia nulla da insegnare e da apprendere, pericoloso il futuro di un popolo che non abbia tempo di coltura e di cultura. Come i contadini virgiliani, sul far dell’autunno, affiliamo gli strumenti per lavorare la terra, per mettere ordine nella testa, per arare il campo che possa accogliere il seme. Dovranno lavorare di più insegnanti ed alunni impigriti da mesi di ozio, sforzarsi con più lena quanti hanno avuto muscoli anchilosati per una sosta prolungata e innaturale, ma a tutti è chiaro che la nazione intera guarda, in questo difficile momento, alla Scuola come ad una occasione insostituibile per continuare la costruzione dell’uomo e della pòlis.
Bambini e ragazzi, adolescenti e giovani, dirigenti ed insegnanti, genitori e figli, nonni e nipoti, libri e tablet, banchi ed aule, corridoi e sale, lavagne antiche e moderne, penne e quaderni, mouse e pc, zaini colorati e magliette sgargianti, costituiscono la grande cornucopia della Scuola, lo scrigno prezioso da cui estrarre cose nuove e cose antiche. Tutti sappiamo che è un rischio riaprire, ma tutti applaudiamo e facciamo il tifo per la Scuola italiana che ha più valore della Banca Centrale o dell’INPS, del Parlamento o del Quirinale, di Palazzo Chigi o del Senato. Le siamo vicini sapendo che il futuro si scrive sui banchi di scuola più di quanto non accada nei Parlamenti o nei sotterranei dove si sperimentano nuove invenzioni.
La Scuola che riapre è una bandiera che sventola, una vela che si gonfia sotto il maestrale, un vino buono e generoso che ribolle nelle botti di rovere, un seme che marcisce in un solco e diventa spiga dorata, un verme che diventa crisalide e già si sogna farfalla. Se riapre la Scuola c’è ancora pane, ancora luce, ancora speranza. Agli alunni e ai docenti, ai dirigenti e ai collaboratori, ai genitori e ai figli, va il nostro incoraggiamento e la nostra stima, il nostro plauso e la nostra preghiera, il nostro sguardo affettuoso e la nostra benedizione.
Arturo Aiello vescovo di Avellino
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