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di FRANCO CRISPINI
Non una cessazione progressiva della politica, non una sua scomparsa, solamente un esaurimento della sua efficacia, una perdita di vitalità: questa si vuole dire usando il termine “estinzione”. Specialmente in quei politici meno sfiorati, o del tutto investiti, dalle profonde diffidenze e rabbie che in questi ultimi tempi hanno sparso veleno su quella che viene indicata come una “casta”, è divenuta forte la preoccupazione che assieme all’acqua del bagno si butti via anche il bambino, come dicono i tedeschi , o che nel buio tutti i gatti diventino bigi, cioè che per colpa di politici affaristi e corrotti (e sono tanti) e per i costi ingiustificati della politica stessa (che sono elevatissimi), ne venga a soffrire una attività insostituibile nei sistemi democratici. Effettivamente è rimasto sempre inascoltato l’avvertimento che da più parti della società veniva ai politici a non mercificare i loro contributi per risolvere i problemi della gente, a non trasformarsi in gestori di un potere di scambio: e in questi seri avvertimenti a non esasperare la gente con condotte scandalose, con servizi fatti pagare a caro prezzo, con tenori di vita molto alti, con arricchimenti sospetti, non si tratta di quella che si stigmatizza sempre, in senso negativo, come semplicemente “antipolitica” e cioè una avversione di principio dettata da una specie di risentimento degli “esclusi”. L’errore è proprio questo: che i politici (questo milione e più che a tutti i livelli ricoprono cariche elettive) non riescono, fatte le dovute eccezioni, a rendersi conto di come e quanto arrivino a snaturare i loro ruoli rendendo un grande danno alla politica che viene trasformata in una pratica di intrecci ed intermediazioni con finalità oscure e slittamenti paurosi nella illegalità. Ma da un altro lato la politica sta subendo una forte minaccia, ed è quello della sua bassissima qualità, dei suoi grandi deficit conoscitivi, delle sue incompetenze tecniche per cui, ad esempio, di fronte alla composita crisi finanziaria che colpisce l’Europa e l’Italia appaiono irrisorie le azioni e le manovre cui ricorrere per arginarne gli effetti malefici. L’inadeguatezza della politica e l’inidoneità dei politici messi avanti dai partiti è anche tra le cause di quello “stato di eccezione” (di cui ha scritto molto efficacemente Ernesto Galli Della Loggia sul “Corriere”) per il quale nella formazione del governo Monti si è dovuta usare una procedura che potrebbe configurare un vero “democratic deficit”. Proprio perché si registra uno sbandamento della politica usata più che altro per servire interessi, al Paese viene a mancare lo strumento idoneo a garantirlo, nella dimensione del rigore della equità e della crescita, da una immane tempesta economica che tende a stroncarlo inesorabilmente: con una credibilità della politica andata a fondo, ridotta al lumicino, con soluzioni tecniche che devono anche badare a salvarle la faccia, a tutelarne qualche risorsa elettorale, non restano molte strade per ridare fiato a quello che richiede l’esercizio della democrazia. In questi anni non si contano gli errori e le colpe della politica: si sono abbassati di molto i livelli morali e quelli dai quali devono venire l’efficacia e l’utilità dei servizi da rendere ai cittadini; si sono invece elevati i costi che si fa di tutto per non ridurre poiché non facilmente i politici rinunciano ai tanti privilegi di cui godono. La rasoiata che il Governo Monti ha tentato di dare è stata debitamente bloccata: tagli agli stipendi dei parlamentari, abolizioni delle province e tutto il resto, tra arzigogoli e qualche ragionevole eccezione costituzionale, vengono consegnati ad uno sfacciato rinvio foriero di una archiviazione. E non è la cattiva anima della politica che non sente ragioni e si prende sempre le sue rivincite indifferente ad un malumore che cresce tra la gente e potrebbe in sede elettorale avere brutte conseguenze (quel 31% di astensioni potrebbe non restare fermo a quello che è oggi)? In tutti questi ultimi anni la buona politica è andata perdendo terreno, deteriorandosi in ogni senso: a cosa l’ha ridotta la forza politica che ha goduto di grandi successi elettorali risultando maggioranza governativa per un lunghissimo periodo, meglio non parlarne, ne esce macchiata di ogni bruttura, una macchina da guerra per comprimere tutte le possibilità di sviluppo civile, morale, economico, nelle mani di un abile manipolatore, vigile nella difesa dei propri interessi; anche l’opposizione, col suo maggior partito, non è riuscita a dare livelli alti alla politica e profili di grande rispettabilità ai suoi politici, non ha saputo darle migliori finalità e farla essere una arte intelligente dell’organizzazione e della espressione di aspirazioni e bisogni sociali, lasciandola invece alla soglia minima di una attenzione a piccoli interessi di parte. Insomma, una quasi eclisse della politica in coincidenza di giorni neri per il nostro Paese affidato ad un governo che comprende assai bene le ragioni delle soluzioni tecniche ma non può concedere più di tanto alla mediazione della politica visto anche come essa era stata ridotta. Se si riuscirà a pervenire ad uno stato di normalità, occorrerà che la gente diventi più esigente e chieda alla politica di non tornare ad essere come finora è stata, perché in ultimo sono i cittadini stessi che devono vigilare sull’operato dei partiti e verificare continuamente se questo corrisponde a quel che più propriamente è nelle ispirazioni ideali della politica, un equilibrio cioè di vita e di interessi tra bene degli individui e sfera pubblica.
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