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«IN QUEL periodo qui alla Dogana arrivavano anche 500 telefonate al giorno e tutte da enti diversi. Funzionari della Protezione civile, Croce Rossa, Asl, ospedali, regioni. “Pezzi grossi” e dirigenti, in preda al panico, ci chiedevano di sbloccare le forniture di mascherine e dispositivi sanitari. Erano i giorni di Codogno, di Vo’, al Nord stava arrivando la prima ondata, c’era il delirio. Ricordo il funzionario della Protezione civile friulana che ci implorava in lacrime…».
E voi? «Era dura, perché in moltissimi casi si trattava di forniture ordinate all’estero e pagate a peso d’oro a qualche finto imprenditore, merce che non avevamo né requisito né sdoganato, merce che probabilmente sarebbe mai arrivata».
Il racconto dei doganieri di Fiumicino è un capitolo ancora tutto da scrivere ma indispensabile per capire fino a che punto il Codiv-19 ha disvelato le pressioni dei politici locali, le storture del federalismo all’italiana. Mentre le terapie intensive si affollavano di malati, s’è scatenata una competizione assurda in nome di un dissennato regionalismo. Ognuno voleva riuscire dove gli altri fallivano. A qualsiasi prezzo. Una corsa all’ultima mascherina, un risiko sulla pelle degli italiani e sullo sfondo un’immagine disarmante: lo Stato cornuto e mazziato.
COMPETIZIONE FRATRICIDA
Il conto di quella competizione fratricida è arrivato ora. La magistratura ha infatti aperto a Roma 4 distinte indagini. Milano seguirà a ruota nei prossimi giorni. Si indaga su milioni e milioni di dispositivi medici di protezione immessi sul mercato con false certificazioni o a prezzi ultra-maggiorati. Ma anche sulle mascherine promesse e mai arrivate. Sui portali fasulle, sulle certificazioni contraffatte. Un gigantesco business smascherato grazie al ruolo fondamentale dell’Agenzia delle Dogane. Qualche numero per capire di cosa stiamo parlando, a partire le requisizioni, ovvero la merce non conforme alle disposizioni di legge o bloccata perché destinata alla speculazione: 13 milioni di mascherine; 110 milioni di guanti; 2 milioni di vestiario tra camici sterili, tute protettive, indumenti in Tnt etc. etc. Poi i sequestri: 4 milioni e 821 mila mascherine; 47.600 occhiali; 26 milioni di guanti; 216 mila tute; 86 mila litri di alcol; 65.876 ventilatori.
L’INCONTRO TRA SPERANZA E MINENNA A CASA DEL MINISTRO
I primi giorni di diffusione del Codiv-19 sono stati i più drammatici. Non si trovava una mascherina neanche a pagarla oro. L’unico fornitore, la Cina, era in lockdown prolungato e aveva bloccato la produzione per l’estero. L’Italia, da parte sua, aveva a sua volta bloccato tutti i voli provenienti dalla Cina. L’unico modo per arginare il divieto era fare scalo a Francoforte o Varsavia, in Polonia e da qui ripartire per raggiungere la Penisola. «Ma i Dpi – svelano un retroscena i doganieri di Fiumicino – continuavano a non arrivare e contro di noi continuava a montare la polemica. Ci accusavano di bloccarle alle dogane. Non era vero. Erano i fornitori, imprenditori senza scrupoli, a metterli contro di noi per prendere tempo. La situazione stava precipitando».
Si è sbloccata solo quando il direttore dell’Agenzia delle Dogane Marcello Minenna e il ministro alla Salute Roberto Speranza hanno capito che bisogna fare qualcosa e presto. C’è stato un incontro a casa del ministro. È arrivata così l’ordinanza che ha riaperto il traffico dalla Cina ma solo per i cargo, ma data l’emergenza sono stati utilizzati anche gli aerei per il trasporto passeggeri. Mascherine ovunque, sui sedili delle hostess e degli steward, a bordo e nelle stive. Raro esempio di riuscita collaborazione istituzionale. Per accelerare i tempi, le operazioni doganali si effettuavano in volo scaricando a Fiumicino ma soprattutto a Malpensa. Il problema della merce non conforme quando le forniture sono arrivati da altri due paesi produttori, il Sudafrica e il Brasile con il marchio Dda, una certificazione valida negli Stati Uniti ma non nella comunità europea. Cosa farne? La soluzione è stata declassala oppure certificarne la congruità dopo le verifiche dell’Inail e dell’Iss, segnalando tutti i casi sospetti ai Nas. Ed è quel punto che sono scattate le indagini.
IL 6 OTTOBRE IL PRIMO PROCESSO
Il prossimo 6 ottobre il primo a comparire in un’aula di Tribunale, davanti al giudice monocratico di Roma, sarà l’imprenditore Antonello Ieffi arrestato nell’aprile scorso per turbativa d’asta e inadempimento di contratti di pubbliche forniture nell’ambito di un lotto di gara Consip da 15,8 milioni di euro. I procedimenti avviati al momento sono 4, almeno in 4 regioni (Lombardia, Lazio, Sardegna e Puglia) e vedono indagate una decina di persone tra mediatori e imprenditori. Sotto la lente della magistratura sono finiti i titolari della società Ecotech, in relazione ad una gara commissionata dalla Regione Lazio, La Procura di Taranto ha aperto un fascicolo su una commessa regionale alla società Biolife.
AUMENTI DEL 1700%
Sul business da Covid-19 si è acceso un faro. E ognuno rivendica la sua parte di merito. Il Codacons ricorda la serie di esposti presentati alla Procura di Roma sin dallo scorso mese di febbraio e nelle settimane successive. Presunte frodi documentate una per una in base alle tante dalle segnalazioni dei cittadini. Nel primo dossier raccolto dall’associazione che tutela gli interessi dei consumatori si evidenzia la vendita al pubblico di mascherine «con ricarichi dei prezzi del 1700 per cento rispetto al periodo pre-Covid-19». In un altro esposto, l’oggetto della denuncia sono le forniture di mascherine prive di relativa certificazione distribuite dalla società creata per l’occasione dalla ex presidente della Camera Irene Pivetti. Per non parlare delle centinaia e centinaia di segnalazioni dei cittadini per le mascherine che avrebbero dovuto vendersi a prezzo calmierato (0,50 centesimi l’una). Introvabili in qualche caso persino ora.
E anche in questi giorni di calma apparente, con il virus sempre in azione ma meno letale, la speculazione è continuata. È di ieri la denuncia della Camera di Commercio di Venezia sulle falsificazioni che continuano. Prodotti che hanno inondato il mercato, destinati alla protezione senza avere le caratteristiche mediche richieste. E a volerla dire tutta ci sarebbe anche uno studio australiano in base al quale le mascherine chirurgiche e quelle Ffp2 w Ffp3 risulterebbero spesso inefficaci. Non si adatterebbero perfettamente ai visi femminili e ai tratti asiatici.
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