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Roberto Gualtieri

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Anche Roberto Gualtieri ci dovrebbe delle spiegazioni, scuse e uno shampoo di cenere fra i suoi pochi capelli, basta il gesto. Il perché è ovvio e vogliamo dirlo anche se sono previste dee prevedibili tutte le banali risposte, perché non possono che essere banali. Dunque, partiamo dall’inizio. L’inizio dell’epidemia. Sembrano anni, invece sono mesi, un altro mondo. Era l’inizio e Gualtieri disse: «Una cosa deve esser chiara: nessuno dovrà perdere il posto di lavoro per colpa dell’epidemia». Così: senza se e senza ma. Apprezzabile.

Un ministro dell’economia di fronte a una catastrofe già annunciata, fa intanto la sua parte e cioè garantisce i soldi: non preoccupatevi, il governo se necessario aprirà le sue casse, i suoi forzieri, le sue riserve, ma non vi lascerà per strada. Del resto, un tale atteggiamento non ha nulla di fiabesco: è esattamente quanto hanno fatto – con misure diverse con nomi diversi e procedure diverse – i colleghi di Gualtieri in Svizzera e in Germania.

Sì, non vogliamo mettere insieme capre e cavoli, benché abbiano entrambi sapori compatibili, ma il concetto è quello: c’è un’alluvione, un terremoto, una pestilenza, uno tsunami che sconvolge la collettività e che schianta le sue attività economiche? Alè, nessuna paura: il governo intanto provvede a tenere tutto in piedi, poi vedrà come rifarsi con l’Europa, i fondi internazionali, tutto quel che è possibile. L’importante – disse il bravo Gualtieri, è che nessuno deve perdere il suo posto di lavoro.

Punto e capo. Sono passati sei mesi e abbiamo – i dati sono di ieri – circa 800 mila posti di lavoro persi. La colpa è forse di Gualtieri? Certamente no, ma certamente sì. È chiaro che se una sciagura ha colpito il nostro e altri Paesi, ciò dipende dal destino cinico e baro, e anche dalla Cina, cinica e bara anch’essa. Ma poi c’è la promessa. Di non lasciare nessuno indietro, abbandonato, come dicono i militari. Il che significa che tutti si aspettavano – e ancora aspettano – che il governo e il suo ministro in particolare, mettesse mano al portafoglio e staccasse assegni a perdere, così come hanno fatto molti suoi colleghi europei. Invece quale è stata la politica italiana di governo?

Quella di dire: allegri, ragazzi! Abbiamo pronta la soluzione per voi. Ah, sì, e qual è? Potete indebitarvi. Voi andate in banca, contraete un debito e come garanzia portate questa mia letterina e vi daranno intanto quel che vi serve. Poi, faremo i conti alla fine. Balla mostruosa. Chi andava in banca scopriva che la banca intendeva usare gli eventuali fondi offerti in garanzia dallo Stato per tutelare sé stessa, chiudere i vecchi mutui e conti, pagare eventuali insoluti e insomma la manna era solo per le banche. Ai disgraziati colpiti da disgrazia, briciole e pure a debito.

Adesso c’è questa strombazzata per i duecento e passa miliardi in arrivo dall’Europa, ed è un’altra balla colossale: quei fondi del Recovery Fund si potranno ottenere, e neanche tutti insieme, a fronte di specifiche presentazioni di progetti secondo le norme di bandi europee, mentre il governo fa credere nei telegiornali che fra poco qualcuno aprirà il rubinetto come nella doccia di Paperon de’ Paperoni sicché uscirà denaro a fiumi da distribuire poi a rivoli e gocce per tutti i prati e i clienti e amici.

Le Regioni si sono già attribuite le proprie quote da destinare a questo e a quello e dall’Europa è già arrivato il segnale shock della dichiarazione del capo della Deutsche Bank il quale ha detto che gli italiani sono pazzi se credono di poter andare a incassare il recovery come se fosse una slot machine e portarsi via il malloppo senza le garanzie di ferro dell’impiego del denaro, c’è stato molto rumore e molte riprovazioni per questo intervento a gamba tesa persino contro la Merkel, ma una cosa pensiamo sia certa: i soldi del Recovery non arriveranno subito – salvo un anticipo minuscolo – e alla fine saranno molto meno del previsto e con un manuale di limiti ed istruzioni che spiegheranno come e dove spenderli, anche se in Italia si fa finta che si tratti di una pioggia di denaro discesa dal cielo per grazia ricevuta. Ma non basta. Il blocco dei licenziamenti che aveva il limite di metà agosto è stato prorogato e forse sarà prorogato di nuovo. Ma fino a quando? Arriverò il momento in cui il blocco finirà e altri milioni di lavoratori resteranno senza lavoro, aggiungendosi a quelli del turismo, alberghi e ristoranti che sono già rimasti a spasso.

L’Inps è molto indietro anche nel pagamento delle casse integrazioni già stabilite ed erogate e l’Italia è piena di persone che attendono le mensilità arretrate e intanto non pagano le bollette, si fanno mettere a debito i conti dal negozietto degli alimentari (i supermercati non fanno credito). E la promessa di Gualtieri secondo cui nessuno avrebbe perso il posto di lavoro?

Chiacchiere. Per carità, i ministri non fanno miracoli e non hanno la bacchetta magica. Ma neanche dovrebbero avere la lingua biforcuta. Gualtieri può guardare agli Stati Uniti dove un immediato e drastico taglio delle tasse ha fatto svettare l’economia americana, poi appiattita dal virus, ma che ha già ripreso a correre verso l’alto recuperando a milioni di unità la disoccupazione che si era creata durante l’epidemia. Che cosa hanno in più gli Stati Uniti? Tutto, naturalmente: ma più che altro una strenua difesa del libero mercato e tasse basse. Le formule non si esportano, ma ci sarà pure un motivo per cui noi e soltanto noi, nel bene e nel male siamo sempre gli ultimi degli ultimi e seguitiamo a precipitare. Non facciamo lagne ma gradiremmo risposte. Qual è il piano? C’è un piano? E i soldi: il tesoro anticiperà ciò che serve per tenere in vita aziende e lavoratori? No, naturalmente. E allora: qual è il piano B? Sapete per caso che cos’è un piano B?


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Francesco Ridolfi

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