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POTENZA – Gli incentivi sullo stipendio «per qualsiasi attività» sarebbero stati la «prassi». Per anni l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente sarebbe stata «tenuta in vita» per fare poco o nulla, perchè oltre ad aprire e chiudere gli uffici qualsiasi iniziativa doveva passare per un progetto e un finanziamento extra, con il solito bonus in busta paga. Allora «a che servivano gli stipendi di decine di dipendenti?
» Per la procura regionale della Corte dei conti «un amministratore serio, puntuale e attento» se lo sarebbe chiesto e poi sarebbe intervenuto.
Dal momento che non è successo, e almeno 6 milioni di euro sono stati spesi per affidare all’esterno cose che avrebbe dovuto fare l’Agenzia, quei soldi adesso devono tornare nelle casse della Regione, e chi è chiamato a restituirli sono tutti i membri delle giunte che si sono avvicendate nel palazzo di via Anzio dal 2005 al 2008, in testa il governatore Vito De Filippo.
Lo ha sostenuto ieri mattina in udienza davanti ai giudici della Corte dei conti il procuratore regionale Michele Oricchio.
«L’inchiesta – ha spiegato Oricchio – è nata da una relazione del nucleo speciale funzione pubblica e privacy della guardia di finanza che ha messo a fuoco il caso, unico in Italia, di un’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente che si servivaperle sue attività di un’altra società grazie a degli affidamenti all’esterno, sebbene a una società “in house”come Agrobios srl, che è di proprietà della stessa Regione, pur in presenza di competenze interne specifiche.
Sono stati evidenziati decine e decine affidamenti iniziati ben prima dalla data di quelli oggetto di causa, ma per quanto riguarda la giunta precedente si è decisa l’archiviazione delle accuse, perché si é ritenuto che per quanto strano fino al 2005 l’Arpab non fosse davvero dotata di mezzi e materiale umano per espletare le proprie funzioni».
Di lì in avanti no, quindi per 6 ulteriori affidamenti regolarmente deliberati dalla giunta regionale sono partite le citazioni a giudizio.
«C’è statauna patenteviolazione dell’obbligo di buon andamento della pubblica amministrazione – ha proseguito Oricchio – per cui bisognerebbe servirsi del proprio personale dipendente prima di affidare all’esterno dei servizi, anche in considerazione della diversa mission di Agrobios che parla di “trasferimento dell’innovazione in agricoltura e nel sistema agroindustriale attraverso progetti di ricerca e servizi analitici nel settore delle biotecnologie vegetali e dell’ambiente” e solo in via secondaria di monitoraggi ambientali».
L’andazzo «oleoso» degli affidamenti avrebbe fatto sì che l’Arpab alungo eforse ancora oggi è rimasta un’agenzia «sottosviluppata». Ma le difese hanno contestato questa ricostruzione, senza nemmeno soffermarsi più di tanto sull’obiettivo politico latente che per anni è stato quello di tenere in vita il patrimonio di professionalità accumulate nel tempo da Agrobios, prima che i soci privati (Eni in testa) facessero un passo indietro.
Non a caso tra le opzioni ancora sul tavolo se l’azienda dovesse chiudere i battenti c’è quella dell’assorbimento del personale proprio tra l’Arpab e l’Agenzia lucana per lo sviluppo in agricoltura.
Quello su cui invece hanno battuto le difese è l’esigenza di non correre rischi dal momento che gli affidamenti avevano a oggetto programmi di monitoraggio ambientale molto delicati anche dal punto di vista della tutela della salute. Poi c’è il capitolo finanziamenti.
Quei fondi trasferiti ad Agrobios sarebbero stati tutti di provenienza comunitaria, legati a progetti persino difficili da concepire, che altrimenti sarebbero potuti andare perduti. In pratica per le casse della Regione la partita di giro sarebbe stata del tutto «neutrale».
Quanto invece alla tesi su un’agenzia “condannata” alla semi-inattività, non è mancato chi ha messo in rilievochei suoi principali sostenitori sono stati proprio quei dirigenti finiti al centro dello scandalo giudiziario per l’inquinamento della falda sotto Fenice, l’ex direttore generale Vincenzo Sigillito e i due coordinatori provinciali Bruno Bove e Ferruccio Frittella.

lama

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