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Da oltre vent’anni risiede a Rimini, e la Guardia di Finanza oggi ha confiscato un patrimonio da un milione di euro al trafficante di droga campano, legato alla criminalità organizzata calabrese. Le fiamme gialle hanno applicato nei riguardi di Vincenzo Franco, 54 anni di Pannarano (Benevento) per la prima volta la normativa introdotta dal nuovo codice antimafia in vigore dal 28 ottobre scorso, che permette di procedere con i sequestri e le successive confische dei beni appartenenti a soggetti che accumulano beni con la loro attività criminale e non riescono a giustificarne la provenienza. E questo parallelamente e aldilà dell’indagine penale in corso a carico del soggetto.
L’operazione odierna, denominata ‘Dominus II’, è figlia di un’analoga operazione ‘Dominus’ condotta tra il 2007 e il 2008 che già portò al sequestro dei beni di Franco e che poi sarebbe sfociata anche nella sua condanna in primo grado per il reato di trasferimento fraudolento di valori.
Il campano aveva infatti intestato alla moglie Giuseppina Di Somma e alla figlia, alcuni appartamenti acquistati a Rimini con i proventi del traffico di droga.
Il pluripregiudicato, aveva contatti con la cosca Ursini della ‘ndrangheta di Gioiosa Jonica in provincia di Reggio Calabria, ma anche con i Masellis di Crotone. Tra i reati per i quali era finito sotto inchiesta, il traffico di droga e anche un tentato omicidio. Ora, grazie alle nuove norme che pongono in capo al Questore una serie di prerogative, a carico di Franco è stata emessa una misura di prevenzione che lo obbliga al soggiorno a Rimini per tre anni sotto sorveglianza speciale, e ieri al’alba è scattata la confisca di 3 appartamenti, 3 garage, 2 moto e un’auto che l’uomo aveva intestato ai familiari nel tentativo di sfuggire alla misura amministrativa.
«Un cambio di strategia culturale nella lotta alla criminalità», l’ha definito il questore di Rimini, Oreste Capocasa, poichè i sequestri e le successive confische procedono parallelamente al processo penale, ma sono da questo indipendenti: per effettuarli infatti, non occorre la condanna definitiva dell’imputato, ma unicamente la mancata prova da parte dell’inquisito, che è entrato in possesso dei beni oggetto di indagine in maniera legale.
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