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di GIOVANNI POTENTE
Alcuni recenti interventi sul Quotidiano hanno inquadrato correttamente i recenti sviluppi politici italiani, rilevandone gli snodi essenziali: il governo Berlusconi è stato esautorato da banche e “poteri forti” stranieri (le stesse banche che hanno scatenato la crisi); sulla sovranità nazionale ha prevalso quella di «mercati e speculatori»; il centrosinistra replica a ciò con timidi «balbettii» «non sempre disinteressati» (Matteo Cosenza); del resto, ormai la «ricetta» sociale del Pd è neoliberista: privatizzare, tagliare la spesa pubblica e manomettere le pensioni (Battista Sangineto). Mi permetto di integrare queste analisi, che condivido in pieno, con alcune osservazioni. 1. Quanto accaduto di recente in Italia (e in Grecia) presenta inquietanti analogie con gli avvenimenti del 2008 negli Stati Uniti. All’epoca, dopo che la Borsa era stata trasformata in una sala scommesse e i più importanti prodotti finanziari erano i cosiddetti “derivati” e altri titoli “tossici”, quindi dopo anni di gestione sconsiderata (anni in cui però manager e dirigenti avevano guadagnato milioni di dollari) molte banche erano in difficoltà. Le pressioni congiunte dell’amministrazione Bush e di Wall Street indussero il Congresso ad approvare il loro finanziamento con 700 miliardi di dollari dello Stato (pochi giorni dopo che la legge era stata bocciata in una prima votazione). Come oggi in Italia, allora negli Usa la molla principale fu la paura. Molti membri del Congresso vennero intimiditi (altri blanditi o semplicemente corrotti) e tutti gli americani furono terrorizzati con la minaccia di una crisi finanziaria irreparabile, che avrebbe ulteriormente aggravato la situazione. In un memorabile discorso televisivo, il presidente Bush evocò scenari catastrofici (altre case pignorate, aziende fallite, la recessione). La legge fu approvata in fretta e furia sull’onda emotiva. Proprio con la stessa fretta il nostro presidente della Repubblica ha nominato senatore a vita il prof. Monti, che di mestiere, dal 2005, fa l’advisor per la più grande banca del mondo: la Goldman Sachs; e con lo stesso trasporto una inverosimile maggioranza “bulgara” del nostro Parlamento ha ceduto allo stesso Monti la guida del Paese. Alcuni membri del Congresso statunitense definirono quanto accaduto in quell’autunno 2008 un “colpo di Stato finanziario”. Ecco, lo stesso può dirsi oggi per quello che è accaduto in Italia (come in Grecia): un “golpe bianco”, realizzato tramite la pressione della speculazione finanziaria e gli attacchi ai nostri titoli di Stato. Un golpe incruento e paradossale: consentito da una classe politica imbelle o sodale e da un apparato mediatico in gran parte complice (a cominciare da giornali come “Repubblica”), accolto con sollievo da una opinione pubblica manipolata, estenuata dalla stagione berlusconiana e terrorizzata dai “mercati”. Con buona pace di ogni residua illusione di democrazia e della nostra sovranità nazionale. Il golpe consentirà prima di tutto di imporci la variante più spietata del modello di società neoliberista: riduzione dei diritti dei lavoratori, smantellamento dell’impalcatura statale e del welfare, totale deregulation finanziaria (secondo la favola del “mercato che si regola da sé” propinataci per anni da tanti economisti e “bocconiani”). A ciò si aggiunga la possibile acquisizione da parte di capitali stranieri, nell’ambito delle svendite e delle privatizzazioni dei beni pubblici, di “gioielli di famiglia” come Eni o Finmeccanica. Questo è il vero mandato che i “poteri forti” hanno affidato a Monti: qualunque sia il costo sociale fatto pagare a lavoratori, precari, disoccupati e pensionati. 2. Ad essere più precisi, possiamo cominciare ad individuare qualche componente di peso di questi “poteri forti”. Ci aiuta il precedente americano del 2008, che non fu solo un modo perverso di far pagare ai contribuenti i disavanzi delle banche. In realtà si trattò di una guerra tutta interna a Wall Street e alla grande finanza. Infatti alcune – solo alcune – banche furono salvate. Altre furono lasciate fallire (Lehman Brothers) o svendute (Merryl Linch). Quella guerra finanziaria – che acuì le deriva neoliberista per cui oggi negli USA si contano 46 milioni di poveri accertati – ebbe un sicuro vincitore: la banca Goldman Sachs, che da allora ha definitivamente assunto una posizione preminente proprio approfittando della scomparsa o del ridimensionamento di molte concorrenti. Del resto, Goldman Sachs non poteva perdere: giocava in casa, ed era pure l’arbitro. Già da anni la banca controllava direttamente il ministero del Tesoro statunitense, a prescindere se il presidente in carica fosse un democratico o un repubblicano. Durante l’amministrazione Clinton, dal 1995 al 1999, ministro del Tesoro era stato Robert Rubin, ex manager di Goldman Sachs. In quel fatale 2008 era ministro Hank Paulson, ex amministratore delegato di Goldman Sachs (cui era stata assegnata una buonuscita di 700 milioni di dollari); nel suo staff al ministero si contavano 11 ex managers della Goldman Sachs. Come ministro del Tesoro del Governo degli Stati Uniti, Paulson trattò direttamente con l’amministratore delegato della Goldman Sachs, il signor Blankfein, suo successore, il finanziamento pubblico ad alcune banche. Tra cui Goldman Sachs. Che oggi può andar fiera di aver posizionato un suo manager, il prof. Mario Monti, alla guida di un grande Paese: l’Italia. Ciò dimostra come in Occidente, nelle nostre pseudo-democrazie, il “conflitto di interessi” non è una riprovevole eccezione rispetto a chissà quale consuetudine di onestà e trasparenza, come qualche anima candida insiste a credere (Travaglio su tutti), ma è “strutturale”, ontologico. 3. Naturalmente, Goldman Sachs non può aver architettato e realizzato da sola quanto successo in Usa e da noi. Anzi, l’accaduto rientra in un progetto più vasto e articolato, che consiste nell’imposizione di quel “Nuovo Ordine Mondiale” citato, in un discorso pubblico, pure dal presidente Napolitano (che però evitò accuratamente di spiegarcelo: il video è scaricabile da youtube). Questo Nuovo Ordine, a grandi linee, prevede: un Governo Unico Mondiale, il controllo centralizzato di cittadini e lavoratori, l’erosione del ceto medio, il condizionamento continuo dell’opinione pubblica (indottrinata dai media e tenuta in costante clima di paura con guerre, terrorismo e crisi economiche), un mercato unico mondiale, il rafforzamento dell’Onu eccetera. A questo progetto coopera appunto l’insieme dei “poteri forti” finanziari, industriali e politici del mondo occidentale. Questi “poteri” sono dotati di una serie di organismi di coordinamento, il più importante dei quali è il cosiddetto Bilderberg Group, o Bilderberg Club. Il Club prende il nome dall’hotel olandese in cui si riunì la prima volta nei 1954. Da sempre ne fanno parte i rappresentanti delle maggiori banche, multinazionali, istituzioni politiche e mezzi di informazione del mondo (tra gli altri: dirigenti di organismi internazionali come Onu, Ue, Bce, Fmi, Banca Mondiale; della Federal Reserve; di corporations come Coca Cola o British Petroleum; di grandi banche come Chase Manhattan Bank e, naturalmente, Goldman Sachs; membri dei più importanti servizi di intelligence, politici di ogni livello; giornalisti ecc.). I membri del Gruppo si riuniscono annualmente, in veste di privati cittadini, e in modo riservato. Non vengono stilati verbali scritti delle riunioni. In compenso, è in questi incontri privati che vengono decise le sorti planetarie: il prezzo del petrolio, qualche guerra preventiva, se è il caso di mettere qualcuno più fidato a capo di un Governo. E così via. Alle pagine 9-13 dell’edizione italiana del libro “Il Club Bilderberg” di David Estulin potete trovare l’elenco dei partecipanti alla riunione del 2007, svoltasi in Turchia. I membri italiani erano allora pochi quanto importanti e prestigiosi: Franco Bernabé (vicepresidente di “Rothschild Europa”), John Elkann, Paolo Scaroni (presidente dell’Eni). E naturalmente il prof. Mario Monti, bocconiano, advisor della Goldman Sachs. Nel libro, Monti fa bella mostra di sé pure a pag. 277, fotografato in fitto e sorridente colloquio con Jean-Pierre Hansen, presidente della “Suez Tractabel”. Alla stessa riunione era presente l’ineffabile Olli Rehn, il membro della Commissione Unione Europea che tanto si è speso, tra una riunione, una intervista e una visita a Roma, a convincere gli Italiani della inderogabile necessità di un governo “tecnico”. Alle pagine 312 – 326 dello stesso volume c’è l’elenco generale dei membri, suddivisi per area geografica. Per l’area europea, tra i membri italiani si riscontrano: Alessandro Profumo (Unicredit); Stefano Silvestri (il solerte esperto di strategie militari che ci spiega ogni volta in tv quanto valga la pena mandare i nostri ragazzi a morire in Afghanistan); Luca Cordero di Montezemolo (il “nuovo che avanza” nella politica italiana); Marco Tronchetti Provera; l’economista della Bocconi Carlo Secchi; il solito Paolo Scaroni; naturalmente il prof. Monti; e il serioso Enrico Letta, faccia da bravo ragazzo, esponente di altissimo rilievo del Partito Democratico. Sì, avete capito, proprio quello che ha passato alla Camera il famoso bigliettino a Monti appena insediatosi; quel bigliettino finito su Internet e sui giornali, in cui Letta, dopo la disponibilità a rendersi utile in ogni modo, ha concluso entusiasta che “i miracoli si avverano”. Sappiamo così che non solo i «balbettii» del centrosinistra «non sono disinteressati», come ha scritto Matteo Cosenza sul Quotidiano, ma che in molti casi sono proprio interessati. Interessatissimi. Sappiamo così pure a chi non dovremo mai rivolgerci per sperare di uscire da questo incubo. Pardon, da questo “miracolo”.
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