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POTENZA – L’ultima parola del Tar sulla vicenda Fenice è arrivata ieri ed è quella definitiva: l’impianto, che ha già ripreso a bruciare dallo scorso 4 novembre, può continuare a funzionare. E’ una sentenza che entra nel merito della vicenda e mette una definitiva parola fine al procedimento amministrativo, con un verdetto forse scontato nell’esito ma non del tutto nella motivazione. Perché se da una parte il collegio dei magistrati amministrativi accoglie il ricorso presentato da parte di Fenice Ambiente srl, sulla base del “comportamento contraddittorio” tenuto dalla Provincia di Potenza, già emerso dalla prima sentenza dello stesso tribunale, lo scorso 4 novembre, dall’altra escludono la presenza di pericoli per la salute umana. Una conclusione che si fonda sulla insufficienza degli elementi scientifici prodotti dalle istituzioni competenti, ma soprattutto si basa su un parere espresso dall’Istituto Mario Negri secondo cui non ci sarebbe stato un aumento delle malattie tumorali nei comuni di Melfi e Lavello nel periodo di riferimento.
E’ su questi elementi che il collegio giudicante composto dal presidente Michele Perrelli, e dai magistrati Antonio Ferone e Pasquale Mastrantuono, al termine della camera di consiglio, ha accolto il ricorso presentato da Fenice Ambiente srl, e ha annullato di fatto la determina dirigenziale dell’ufficio ambiente della Provincia di Potenza con cui, lo scorso 14 ottobre, si sospendeva per 150 giorni l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto.
In primo luogo il Tar ha ritenuto fondato quanto contestato dalla srl in merito al comportamento “contraddittorio” della Provincia di Potenza: l’ente, nel corso dell’ultima conferenza dei servizi lo scorso 20 settembre, prende atto del parere favorevole di Arpab – che sostiene l’efficacia degli interventi di messa in sicurezza del sito, conferma il permanere delle condizioni per l’esercizio dell’impianto, prende atto della sensibile riduzione dei livelli di contaminazione delle acque sotterranee, in attesa degli interventi di bonifica e la compatibilità con la situazione ambientale della contaminazione residua – senza contestarlo . Poi, una ventina di giorni dopo, prende visione dei nuovi dati Arpab relativi al mese di settembre che evidenziano nuovi sforamenti, e sulla base di tali nuovi elementi decide di chiedere un nuovo parere all’agenzia. Due giorni dopo, senza attendere il parere richiesto, decide, però, di adottare la determina dirigenziale di sospensione. Ma il Tar ha ritenuto valida anche la seconda opposizione di Fenice Ambiente srl: l’atto della Provincia di diffida e sospensione di 150 giorni nei confronti della società poteva essere assunto solo davanti a una comprovata situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Presupposti di cui però – sottolinea il collegio dei giudici – non è stata dimostrata la sussistenza – La Provincia nella determina menziona infatti “forti perplessità che l’attività dell’impianto” arrecasse un “pregiudizio all’ambiente ed alla salute dell’uomo”. Ma la mancanza di dati scientifici precisi sulla natura e le cause della contaminazione, così come sulle conseguenze per la salute umana, elementi purtroppo non in possesso di Arpab e Asp, non consentono di poter provare la circostanza di una situazione di pericolo. Del resto le stesse rassicurazioni dell’Arpab sulla diminuita contaminazione e l’efficacia degli interventi di Mise, confermate pure da una relazione allegata al ricorso del professor Antonio Di Molfetta, ordinario di Ingegneria degli Acquiferi presso la facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino. Nella determina dirigenziale «l’amministrazione Provinciale – si legge nella sentenza – non ha dimostrato che i sopra descritti superamenti dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) potessero provocare danni irreversibili alla salute pubblica ed all’ambiente».
Il Tar, invece, riconosce alla società ricorrente di aver rispettato le sequenze previste dalla procedura a partire dal 2009, di aver avviato gli interventi di messa in sicurezza e manutenzione dell’impianto di aver presentato un piano di bonifica. Ma, soprattutto, a escludere i pericoli per la salute umana c’è un altro parere, ed è forse questa la vera novità, quella inattesa, della vicenda: a esprimersi è del professor Carlo La Vecchia dell’istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano. Il parere viene depositato il 12 novembre scorso e afferma un dato molto importante: “non è stato registrato alcun aumento dei tumori nei Comuni di Melfi e Lavello, tenendo pure conto dell’ambito temporale di esposizione”. In contrasto con quanto sostenuto in questi anni dalle popolazioni del Vulture.
Bocciata, invece, la richiesta risarcitoria di Fenice Ambiente che aveva chiesto alla Provincia 361.500 euro per il danno derivante dalla permanenza dei rifiuti da smaltire con l’aggiunta di 40.000 euro per ogni giorno di sospensione dell’attività. «La società però – conclude il collegio – non ha dimostrato tali danni».
«La sentenza del Tar va rispettata – è il commento a caldo del presidente della Provincia di Potenza, Piero Lacorazza, ai microfoni del Tgr – ma anche le conclusioni e le determina assunta dal nostro dirigente dell’Ufficio Ambiente». Il presidente esclude che la decisione dell’ente sia stata assunta sull’onda emotiva della vicenda giudiziaria e spiega: «Tutto è stato deciso sulla base di elementi tecnico-amministrativi». Sulla possibilità di presentare ricorso al Consiglio di Stato aggiunge: «Valuteremo in questi giorni. Ma – conclude – è chiaro che tutta questa vicenda impone un’approfondita riflessione alle istituzioni in una regione in cui le dinamiche industriali sono tante e complesse. E’ in gioco la credibilità di noi tutti».
Mariateresa Labanca
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