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Quella zampa è il macigno che grava sulla testa delle donne e degli uomini del sud da almeno undici anni. La zampa dell’elefante pesa 64,5 miliardi. Sono quelli che ogni anno le Regioni del nord sottraggono indebitamente alle Regioni del sud.
L’ELEFANTE non si sposta. Siamo sotto la sua zampa. Ricordate la scena del domatore con la testa sullo sgabello e la zampa dell’elefante sopra la sua testa? Salvo incidenti il domatore riesce sempre nel suo esercizio, ma nel nostro caso non è cosi. Quella zampa è il macigno che grava sulla testa delle donne e degli uomini del Sud da almeno undici anni.
La zampa dell’elefante pesa 64,5 miliardi. Sono quelli che ogni anno le Regioni del Nord sottraggono indebitamente alle Regioni del Sud. I dati dei conti pubblici territoriali sulla ripartizione della spesa pubblica allargata e le rilevazioni dell’Istat sulla popolazione e sul prodotto interno lordo sono inequivoci. Al 34,2% della popolazione meridionale va il 28% della spesa pubblica allargata. Balla, dunque, il 6,2 % che vale 64,5 miliardi. Riguardano la sanità, la scuola, la mobilità, i treni veloci, la rete della fibra. Sono in gioco i diritti di cittadinanza violati della spesa sociale e della spesa infrastrutturale.
Dal suo primo giorno di uscita questo giornale ha denunciato lo scippo di 60 miliardi che condanna alla povertà il Mezzogiorno e toglie il futuro all’Italia intera. Tutto ciò è possibile perché la legge Calderoli sul federalismo fiscale del 2009 è rimasta dolosamente inapplicata. Quella legge stabilisce che non ci possono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B e che, per questo motivo, si devono stabilire i livelli essenziali di prestazione, i fabbisogni standard, e varare i fondi di perequazione sociale e infrastrutturale. In attesa di fare tutto ciò, si decide che per un breve tempo si utilizza la spesa storica. La spesa storica significa che il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero. Il breve termine dura dolosamente da 11 anni ed è la causa esclusiva dell’acuirsi delle diseguaglianze. Di fatto questa scelta miope ha ridotto il reddito pro capite dei cittadini del Mezzogiorno alla metà del reddito pro capite degli altri due terzi della popolazione. Nemmeno nel dopoguerra c’era una differenza così marcata tra le due Italie.
Questa scelta regressiva dei governatori della Sinistra Padronale tosco-emiliana in combutta con quelli della Destra lombardo-veneta a trazione leghista ha compiuto il “miracolo” di condannare il Mezzogiorno al sottosviluppo e di privare il Nord del suo principale mercato di consumi interno e di una dimensione nazionale produttiva indispensabile per rimanere nel novero delle grandi economie industrializzate.
Questo, non altri, è il problema competitivo italiano. Non ha senso riproporre oggi una inutile guerra tra Nord e Sud del Paese, ma è obbligatorio nell’interesse comune che chi ha la responsabilità di governo ponga al centro del Next Generation europeo un piano di investimenti infrastrutturali materiali e immateriali interamente collocato nel Mezzogiorno. Non si tratta tanto di risarcire il danno subito (anche questo), ma si tratta piuttosto di affrontare con serietà il tema irrisolto della mancata crescita italiana. Non è un caso che gli unici due territori europei a non avere raggiunto i livelli pre-crisi prima del covid siano il Nord e il Sud dell’Italia.
Bisogna recuperare oggi la coerenza meridionalista del trentino De Gasperi negli anni del Dopoguerra. Bisogna ricucire con le infrastrutture l’Italia e occorre affiancare a questo investimento di sviluppo un patto produttivo che spinga le imprese del Nord a delocalizzare nel Sud mettendo a frutto l’opportunità della fiscalità di vantaggio e un ambiente rinnovato che consenta finalmente di utilizzare trasporti veloci e gli asset di una grande logistica e di una grande portualità integrate. Che possano riconsegnare insieme all’Italia la leadership nel Mediterraneo.
Tutto il resto sono chiacchiere. Anno dopo anno la distorsione della spesa storica aumenta il peso del macigno. Sotto la zampa dell’elefante, se non succede nulla, a rotolare sarà la testa degli italiani, prima dei cittadini del Sud, poi di quelli del Nord. Arrivare dopo è una magra consolazione. Perché la fine è comune.
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Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia
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«Nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione italiana; si produce solo un quarto del prodotto interno; si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane. Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud.» (p. 7).
«A metà di questo decennio il PIL pro capite delle regioni meridionali non raggiungeva il 60 per cento di quello centro-settentrionale; alla metà degli anni sessanta tale ritardo era di dimensioni identiche.
La frattura territoriale nel nostro paese appare almeno altrettanto ampia, anche con riferimento ad indicatori di sviluppo più direttamente correlati alle condizioni materiali di vita delle popolazioni, come i tassi di occupazione, la diffusione della povertà, i livelli di istruzione o il funzionamento dei servizi pubblici locali. L’elevata ampiezza percepita dei trasferimenti di risorse effettuati nel corso dei decenni in favore delle aree meridionali acuisce il senso di insoddisfazione verso le attuali dimensioni del dualismo territoriale italiano» (p. 427).
«Fino alla conclusione del XIX secolo, il PIL pro capite delle regioni meridionali non scese mai al di sotto del 90 per cento di quello centro-settentrionale» (p. 427).
«Il dualismo economico italiano, che vede una quota rilevante della popolazione risiedere in un’area molto povera rispetto alla media nazionale, si presenta assai più grave rispetto agli altri paesi con livelli di sviluppo similari e si avvicina invece alle condizioni di disparità che caratterizzano i paesi economicamente meno avanzati.» (pag. 430).
«I maggiori divari di reddito che il nostro paese mostra nel confronto internazionale sembrano quindi dipendere per intero dall’anomala dimensione della distanza fra regioni nelle diverse componenti del tasso di occupazione: la quota di forza lavoro occupata e, soprattutto, il tasso di attività della popolazione in età da lavoro. Quest’ultima variabile, in particolare, mostra un divario tra Mezzogiorno e Centro Nord di quasi 27 punti percentuali (Tavola 11), mentre nei paesi di confronto esso è mediamente inferiore a 5 punti.» (pag. 435).
(Banca d’Italia “Mezzogiorno e politiche regionali” https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-seminari-convegni/2009-0002/index.html).