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NON ESISTE master di specializzazione più difficile della vita: non ha un orario prestabilito di ingresso e di uscita, non possiamo impararla dai libri né copiarla dai vicini di banco e, facendoci l’esame da soli, scopriremo soltanto alla fine se siamo promossi o bocciati.

Unica materia d’esame sarà la storia: la propria. Ognuno di noi valuterà se stesso in base alle proprie azioni, ma anche ai propri pensieri e alle proprie parole, anche a quelle taciute. Più del titolo di dottori, conterà essersi comportati da signori.

Mentre si discute sulla riapertura delle scuole invocando il sacrosanto diritto all’istruzione, c’è un diritto ancora più importante che abbiamo perso senza mai invocarlo: il diritto all’educazione. La scuola è diventata un concetto limitatissimo, circoscritto al perimetro delle aule. Eppure un tempo la scuola era dappertutto: i politici avevano la responsabilità di fare scuola, lo stesso valeva per la televisione, gli intellettuali, la famiglia; anche un contadino poteva fare scuola perché la scuola era l’esempio.

Che esempio viene dato oggi? Si contano così tanti intellettuali e così pochi intelligenti. Chi sbaglia, anziché ammettere l’errore, lo copre commettendone un altro più grave. Le classi dirigenti fanno palestra alzando le spalle. La gentilezza è considerata debolezza. Risultano vincenti quelli che meglio svirgolano e con sicumera affermano. Eppure un tempo eravamo consapevoli che la punteggiatura della verità è fatta anche di interrogativi, due punti, sospensioni. Non fanno paura soltanto i virus. Fanno paura anche gli sciacalli pronti a dilaniare e ad accaparrarsi i resti di una società ridotta allo stremo.

E allora, in attesa della riapertura delle scuole, cosa va messo nello zaino, oltre alla mascherina? Di sicuro il diritto all’istruzione, ma anche l’indispensabile diritto di vivere in un mondo ben educato ed educato al bene.


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