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E’ stata una vera festa ma soprattutto una partita «per allenare le nostre coscienze, i nostri valori», ha ricordato il ct azzurro Cesare Prandelli che ha mantenuto, insieme al presidente della Figc Abete, la promessa che avevano entrambi fatto a don Luigi Ciotti, presidente di Libera, qualche mese fa. Una festa che è servita anche a don Ciotti per fare un’entrata a gamba tesa nei confronti della politica alla quale ha detto che «le mafie si vincono non solo sui territori infestati ma soprattutto a Roma, in parlamento facendo leggi giuste». Intorno ad ascoltarlo in silenzio migliaia di giovani arrivati da tutta la Calabria ma anche tanti parlamentari come De Sena, Minniti, Garavini, Napoli tanto per fare qualche nome, rappresentanti istituzionali calabresi: il presidente della giunta regionale Giuseppe Scopelliti, il presidente del consiglio regionale Francesco Talarico, il presidente della provincia Giuseppe Raffa, consiglieri regionali e provinciali, il prefetto Varratta, il questore Casabona, sindaci.
C’era anche il vescovo Luciano Bux che ha detto di pregare per la conversione dei mafiosi. Presente anche il presidente della commissione regionale antimafia Magarò, che insieme al presidente Talarico ha consegnato ad Abete un pallone Puma con su scritto “Dai un calcio al pizzo” e “Il pizzo è una palla al piede”.
Quel campetto costruito in un terreno confiscato al potente casato dei Crea, nel quale non ci giocava nessuno quasi per timore. Poi i vandali che entrano ancora in azione quasi a voler dire che in quel terreno strappato al boss Teodoro “ Toro” Crea che doveva essere una discarica non doveva essere utilizzato da nessun altro. Nessuno avrebbe mai immaginato che proprio il quel campetto un giorno ci avrebbe giocato nientemeno che la nazionale di calcio.
Ma è accaduto grazie a don Ciotti, ad Abete e a Prandelli ma anche agli azzurri: «Per noi era un dovere morale essere qui – ha detto Buffon – un senso di responsabilità che bisogna avere in situazioni e occasioni come quelle di oggi». Il sogno si è trasformato in realtà. Chi immaginava di vedere in quel piccolo rettangolo di gioco Pirlo, Marchisio, Balotelli, Matri, Chiellini, Gattuso e compagni sgambettare per omaggiare quei ragazzi della scuola calcio di Rizziconi, che hanno deciso di sfidare i boss , facendo di quel campetto il simbolo del riscatto di questa terra. Ed è stato bello vedere migliaia di bambini arrivati da ogni dove, persino dallo Zen di Palermo, abbracciare i loro beniamini. Poco importa se nascosti da qualche parte c’erano anche gli occhi di qualche mafioso della zona, perché hanno visto un evento che resterà negli annali di questa regione che è fatta «nella stragrande maggioranza di persone per bene» come ha ricordato il governatore Scopelliti. Gente che ha affollato le strade, gli svincoli autostradali e le piccole tribune di Rizziconi pur di vedere la nazionale scendere in campo per “ fare un gol alla ‘ndrangheta”.
E se c’era qualche mafioso, è stato costretto ad abbassare lo sguardo ed a sentirsi diverso dai più, dai tanti, dalla stragrande maggioranza. Si sarà sentito non accettato, respinto. E forse vigliaccamente, penserà di fargliela pagare a qualcuno. Don Ciotti non lo esclude. Il rischio c’è, inutile negarlo. Loro, i mafiosi, che in Calabria hanno anche utilizzato il calcio per ottenere consenso sociale, (è stato ricordato il recente sequestro della magistratura di due società di serie D) non potevano non sentirsi umiliati dal vociare festoso dei bambini della scuole di Rizziconi che si sono impegnati a non “mollare mai” proprio come ha chiesto loro Prandelli.
«Mettiamo fuori gioco la ‘ndrangheta » tuonava don Ciotti prima di presentare a Buffon e compagni i genitori del piccolo Dodò il cui sangue è stato versato proprio in un campo di calcio, o Caterina, una dei tanti parenti della vittime di mafia presenti ieri a Rizziconi. Bastava vedere lo sguardo di del calabrese Gennaro Gattuso quando ha abbracciato quei genitori, per capire come la presenza degli azzurri non sia stata solo una esibizione come le altre. C’era dell’altro. Da lontano chi incrociava lo sguardo di Gigi Riva, insieme a quello del presidente della Lega Serie B Andrea Abodi, o del vicepresidente vicario Carlo Tavecchio e di Demetrio Albertini, poteva capirlo. Sguardi di condivisione e di commozione. Gioia e emozione si sono intrecciati. Sensazioni manifestati con il pudore di chi ha sempre sofferto ed ha pagato caro ed ha avuto ferite inguaribili come quelle dei parenti delle vittime di mafia ai quali Gennaro Gattuso a nome di tutti ha regalato un pallone con le firme dei calciatori. Un tappeto verde e un pallone, i campioni ed i bambini che campioni sognano di diventarlo.
La nazionale, Prandelli e Abete hanno portato a Rizziconi un sano messaggio ed ogni calcio a quel pallone era un calcio alla mafia e agli uomini del male che offuscano il futuro dei molti. «Mafia che non è solo in Calabria – ha ricordato don Ciotti, ma in tutto il paese» mentre Prandelli guarda al futuro: «C’è un domani per questa gente e questo posto. Vogliamo dare continuità a questo giorno».
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