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POTENZA – «Non potevo più continuare a svolgere il mio lavoro in una situazione in cui si tessevano meschini complotti in mio danno da parte di forze dell’ordine, magistrati e pezzi della politica; per tale unica ragione mi determinai ad abbandonare». Rompe il silenzio dal suo “buen retiro” di Policoro l’ex capo della Procura di Potenza. Per Giuseppe Galante (in foto) la misura è colma. Se è nato da un’operazione studiata a tavolino quello che si è scatenato contro di lui a questo punto lo dovranno stabilire i giudici di Catanzaro, così come se è vero che il piano prevedeva l’ascesa nel suo ufficio del sostituto procuratore generale Gaetano Bonomi. Intanto lui un’idea se l’è già fatta, e non c’è nulla di buono per chi è finito nel calderone dell’inchiesta del pm Giuseppe Borrelli.
Galante sceglie il Quotidiano della Basilicata per precisare innanzitutto alcune cose. Non è vero che sia stato espulso dalla magistratura dal momento che aveva smesso di presentarsi in ufficio per evitare l’infamia di subire un processo. «Falso». Persino «suscettibile di rappresentare all’opinione pubblica valutazioni scorrette e lesive della mia dignità di magistrato». Le cose sono andare in maniera diversa. Al centro c’è di sicuro quello che l’ex procuratore ha deciso di battezzare «l’affaire carabinieri». La data in cui tutto ha inizio è a metà del 2005.
Il comandante regionale dell’Arma aveva scritto una nota in cui si lamentava di un brutto andazzo dei pm della Procura di Potenza in fatto di indagini sul conto dei suoi militari. Il primo che aveva il dovere di vigilare era proprio Galante. «Alla nota a firma del generale Guido Garelli ebbi modo di rispondere con una durissima contronota – spiega l’ex procuratore capo – dopo aver svolto i doverosi accertamenti interni propri del mio ufficio, all’esito dei quali verificai che tutti i dati contenuti nella nota dell’ufficiale erano stati costruiti a tavolino e non rispondevano al vero».
Gli 007 del Ministero della Giustizia avviarono comunque un accertamento speciale incaricando il sostituto procuratore generale Bonomi di effettuare tutte le attività del caso che si sono protratte per diversi mesi. Si arriva così al 2007, quando deflagra l’inchiesta dell’allora pm Luigi De Magistris sugli affari delle “Toghe lucane”. Galante parla di «altre numerose e complesse vicende che videro contrapposte la mia persona e la mia funzione alla procura generale di Potenza e alcuni magistrati del mio stesso ufficio». È a questi contrasti che collega la scelta di lasciarsi decadere «avvalendomi legittimamente di una previsione normativa contenuta nell’ordinamento statuale». Altro che espulsione dalla Magistratura e timore di subire un processo. «Per oltre trentasette anni ho svolto orgogliosamente la mia funzione di magistrato nei Palazzi di Giustizia di Matera e Potenza, con colleghi di altissima valenza scientifica e morale». Fino al 2007.
Quasi dialogassero a distanza ieri pomeriggio è tornato sulla vicenda anche l’uomo al centro dell’intrigo ricostruito dai magistrati di Catanzaro. Gaetano Bonomi mercoledì sarà davanti ai pm Giuseppe Borrelli e Simona Rossi con il suo avvocato di fiducia. Dal momento in cui gli è stato recapitato l’avviso a comparire ha replicato a tutte le accuse. Ha denunciato Borrelli e ironizzato sui suoi grandi accusatori, per primo il magistrato al centro della sua presunta macchinazione, quello stesso Henry John Woodcock che un esposto a firma del «signor Sicofante» indicava come l’autore della più clamorosa fuga di notizie mai registrata a Potenza. Il 16 dicembre del 2008 nella borsa del principale indagato dell’inchiesta sulle corruttele dietro gli appalti della concessione per le estrazioni petrolifere nella Valle del Sauro, Franco Ferrara, un imprenditore di Policoro, vennero scoperti i brogliacci delle conversazioni intercettate nella sua auto mentre andava a un appuntamento con il deputato Pd Salvatore Margiotta. Per i pm di Catanzaro Sicofante sarebbe stato lo pseudonimo dietro cui si celavano Bonomi, e alcuni pubblici ufficiali infedeli. Accusare Woodcock di quella fuga di notizie sarebbe stato nient’altro che un depistaggio, ma a che scopo se non per colpire lo stesso magistrato che aveva condotto l’inchiesta e ottenuto gli arresti per Ferrara più cinque persone?
Bonomi non si perde d’animo. Se qualcuno parla di società segrete si diverte a inventare un nome che possa andar bene. La sua scelta è caduta su “Pp” come “Propaganda Potenza”, ma poi osserva che qualcuno potrebbe anche leggervi «Pellagra Preventing, che è il nome scientifico di una vitamina impiegata per curare le carenze di niacina causate da alcoolismo cronico». Con la sua solita ironia Bonomi spiega che sta ricevendo «da più parti e da vari ambienti, anche del foro locale, richieste di iscrizione alla Pp (…) Il fatto – non quello Quotidiano – mi spingerà probabilmente a creare davvero una congregazione con questo nome (sul modello di quelle che si occupano delle cosiddette “opere Pie”), considerato il particolare favore raccolto». Dopodiché se la prende con chi sul fronte politico cavalca la vicenda e non è difficile riconoscere nel suo bersaglio il capogruppo dell’Idv alla Camera Felice Belisario, l’unico finora, a parte il sindaco ed ex pm Luigi De Magistris, che ha deciso di commentare la vicenda. «Chissà perché – scrive Bonomi – ogni volta che leggo o ascolto dichiarazioni provenienti da qualche ben individuato politico lucano, già democristiano datato, sia pure con mansioni antiche e locali da soggetto di terza fila, passato ad altre organizzazioni politiche con mansioni di indubbio valore, mi viene alla mente il titolo di un film cinese o giapponese “La foresta dei pugnali volanti”. Anche in questo film, come per le dichiarazioni provenienti dai politici in questione, i pugnali volano nella foresta senza mai colpire nessuno: molto effetto, risultati zero. Mi sono chiesto il perché di questo involontario collegamento operato dalla mia mente. Ho alla fine trovato la risposta. La stessa è nel titolo del film: trattasi nella specie di tromboni, non volanti, ma comunque parlanti». Così la guerra tra Palazzi di giustizia rischia di spostarsi all’interno del Parlamento.

Leo Amato

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