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Qualcosa, in fondo, si muove, perché non sottolinearlo? Intervenire pubblicamente in questo momento di ricompattamento e arroccamento del potere locale significa rischiare qualcosa, rischiare il futuro personale. Perché non dire, per esempio, che ci sono uomini politici lucani di primo piano che stanno dicendo la loro nonostante l’ordine di normalizzare tutto, di azzittire o ricattare tutti? Parla, finalmente, un Pdl rinnovato e ambizioso, e lo fa per il tramite delle voci ferme e sicure di Gianni Rosa e Mario Venezia, che stanno scardinando dal di dentro il consociativismo voluto da Viceconte e Pagliuca. Parla il Terzo Polo per voce di un puntuale e attento Egidio Digilio. E parla un uomo assai coraggioso del centrosinistra, Alessandro Singetta, a cui più “colleghi” stanno consigliando il silenzio e il basso profilo (“ma chi te lo fa fare?”, gli dicono i tanti conigli che lo circondando, “tanto l’emolumento è sempre lo stesso”). Oggi sono quattro, domani potrebbero essere molti di più, come ci auguriamo, e come siamo sicuri che sarà (aspettiamo con ansia prese di posizione di uomini illuminati, capaci e di larga esperienza quali Filippo Bubbico, Gianpaolo D’Andrea e Nicola Buccico, e di giovani dirigenti un po’ impauriti, ma sani, quali Antonello Monilari). Altrimenti rischiamo la tautologia delle vacche che sono tutte nere durante la notte, quando è evidente a tutti che non tutte le vacche sono nere quando scende la notte.
A mio avviso non è ancora arrivato il momento di rendere parossistico l’attacco a un potere delegittimato, autoreferenziale e arrogante, perché prima di distruggere bisogna avere bene in mente il progetto per il futuro, gli uomini nuovi che dovranno governare questo processo di cambiamento. Perciò, nel mentre indichiamo le mele marce, impegniamoci ogni giorni a indicare agli altri e a noi stessi le mele sane, perché la parte costruttiva è importante almeno quanto la parte distruttiva.
Facciamo dunque i nomi. Ciascuno di noi si sforzi di sottolineare eccellenze, bravure, realtà nuove, dissensi coraggiosi, ambizioni di rinnovamento. Perché dire “che tanto sono tutti uguali” è un grande favore che si fa a un potere che si tiene in piedi per due gravi anomalie, ovvero per il consociativismo diffuso e capillare delle colpe (anche di una zona grigia sociale connivente molto ampia), e per il qualunquismo dilagante che, nel mentre dice che “tanto sono tutti uguali”, impedisce di fatto il rinnovamento.
Le persone più intelligenti, sensibili e avvertite sanno che così non si può andare avanti. Eppure noto che nonostante coloro che chiedono rinnovamento politico in Lucania – me per primo – non insistano mai sul tema della giustizia (come sarebbe facile fare), ma rilancino sempre e soltanto sul tema della politica, questo “assist” benevolo non venga accolto da una classe dirigente arrogante a paranoica che “vuole tutto”, il potere e il silenzio, convinta ancora di poter disporre di una filiera di talpe e manovratori che dai piantoni arriva fino ai vertici delle istituzioni non politiche.
Pensavo, ingenuamente, che il centrosinistra, anche in seguito alla brutta storia della “macchia nera” di Arpab e Fenice (che il “Quotidiano della Basilicata” sta raccontando in maniera estesa e approfondita), mettesse in campo azioni urgenti per autorinnovarsi. Prendo atto che nessuno – dall’ubbidente Roberto Speranza, al ventriloquo e illusionista Vincenzo Viti, all’oscillante e malfermo Vito De Filippo, che si barcamena in un pietoso day by day senza progetto politico – abbia espresso il benché minimo atto di autocritica, di inquietudine politica. Evidentemente si sentono forti, invincibili, inattaccabili. La storia ci insegna, invece, che quando un potere assoluto non sa rinnovarsi, ed è dilaniato da prepotenza, arroganza, megalomania, corruzione e faide interne, ecco, proprio in quel momento non sa vedere la maglia rotta nella rete che porterà tutti i pesci a scappare in mare aperto. E vedrete: prima o poi accadrà.
Intanto noi tutti cerchiamo uomini forti e liberi per il domani. E gli uomini liberi e forti si vedono adesso che bisogna denunciare pubblicamente un’oligarchia (in Lucania comandano cinque persone) che è all’apice dell’arroganza e del potere di vita e di morte sui suoi “sudditi”. Certo, mi chiedo dove siano finiti i giovani lucani – quei giovani che mi hanno criticato allorquando scrissi che non avevo nessuna fiducia in loro – e che sono le prime vittime di questo sistema politico ammalato e avvelenato. Anziché bere birre al pub e lamentarsi a chiacchiere dei politici lucani, perché non fanno qualcosa? Perché non rendono pubblico il loro dissenso? E perché si ostinano a chiedere la questua a una classe dirigente che vuole tenerli in una perenne condizione di subalternità? E perché non hanno niente da dire sui fratelli, sulle sorelle, sui cugini, sulle mogli e sulle fidanzate del potere (o di chi lo ricatta) che vengono assunti negli enti regionali? Giovani lucani, siete davvero così rammolliti?
Andrea Di Consoli
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