Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte
4 minuti per la letturaIn questo Paese a gestire la sanità, la scuola, il trasporto locale, il turismo sono le Regioni con le loro venti velocità e i loro venti interessi da tutelare. Il sistema decisionale così frammentato non potrà mai funzionare, è fatto su misura per tutelare i ricchi e abbandonare i poveri nel breve termine e per impoverire i primi e ancor di più i secondi nel medio termine
La CONFERENZA Stato-Regioni è il consiglio dei ministri ombra del Paese. Prendiamone atto e facciamola finita. Se poi il Capo della Conferenza Stato-Regioni è anche bravo, il più bravo di tutti è stato Errani, per il Capo di governo di turno della Repubblica italiana sono dolori acuti. Il Governo fa gli annunci, anche attraverso i decreti legge, la Ragioneria fa i controlli e spesso le ragioni della sofferenza finanziaria si fanno sentire, creano problemi, ma i fatti che dovrebbero entrare in vigore restano spesso annunci dell’esecutivo perché a gestirli non è il Governo ma sono le Regioni con le loro potestà legislative concorrenti e le loro casse.
In mezzo a questo guazzabuglio normativo e di risorse finanziarie c’è la macchina dello Stato svuotata di poteri e a corto di uomini che fa errori di suo, ma obbligata tra un decreto attuativo e l’altro a dovere fare i conti con la realtà. Che è una sola: in questo Paese a gestire la sanità, la scuola, il trasporto locale, il turismo, e così via, sono le Regioni con le loro venti velocità e i loro venti interessi da tutelare. Anche il Documento di Economia e Finanza passa per la Conferenza Stato-Regioni e guai se non lo fa.
A Palazzo Chigi ancora ricordano come si è fatto sentire l’attuale presidente della Conferenza Stato-Regioni, Bonaccini, perché si erano permessi di fare l’assestamento di bilancio senza sottoporlo a lui e agli altri Capi di Regione preventivamente. Ovviamente tutti pronti a recitare a soggetto proprio come avveniva nei consigli dei ministri della Prima Repubblica dove c’era ancora il controllo reale della spesa pubblica. Le cose stanno così: su 199 decreti attuativi legati ai provvedimenti Covid, ne mancano all’appello 143; uno scandalo che riguarda questo governo su questi temi e tutti i governi che lo hanno preceduto su altri temi almeno negli ultimi dieci anni. Sarà un caso, mi chiedo, ma perché tra il pensiero e il fare passa così tanto tempo? Perché con qualsiasi esecutivo almeno negli ultimi dieci anni tra il momento decisore, che spetta al governo, e il momento attuativo, che è di competenza della macchina pubblica, passa così tanto tempo? Non sarà, forse, perché in mezzo c’è il potere vero, le sue fameliche burocrazie, i suoi interessi in conflitto, che sono appunto loro Maestà le Regioni? Che non sono poi tutte le Regioni, sia chiaro, ma il Granducato tosco-emiliano e la locomotiva lombardo-veneta che hanno una visione dell’interesse del Paese che coincide al millimetro con i loro confini. Credetemi, il problema competitivo del Paese è tutto qui. segue a pagina III
Non può essere casuale che l’articolo 6 del decreto semplificazioni prevede di sanzionare chi ritarda l’attuazione dei progetti (responsabilità erariale) e non può essere ignorato il comma 5 dell’articolo 119 della Costituzione dove c’è scritto testualmente: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”. Sapete che cosa vuol dire questo riferimento così esplicito? Che non solo c’è la piena consapevolezza che con questo sistema decisionale così frammentato la macchina dello Stato non potrà mai funzionare, ma che si è perfettamente consapevoli che questo sistema è fatto su misura per tutelare i ricchi e abbandonare i poveri nel breve termine e per impoverire i primi e i secondi nel medio termine.
Sarà un caso, ma l’Europa ci raccomanda di mettere a posto la macchina pubblica e di avere come priorità il rilancio del Mezzogiorno. Che è quello che ovviamente paga il conto più alto di un sistema decisionale frammentato perché non ha santi in paradiso e non ha neppure tesoretti industriali e accesso al credito più agevole che hanno invece le Regioni più forti che conducono le danze del declino italiano.
Per questo ci permettiamo di consigliare al Presidente del Consiglio di imitare ancora una volta l’Italia del miracolo economico. I soldi americani del prestito Marshall erano per il Mezzogiorno, quelli europei di oggi devono essere come allora tutti per il Sud e i Sud del Nord. I fondi nazionali sono più che sufficienti per i territori del Nord produttivo che ha goduto fino a oggi di un trattamento di favore nella spesa pubblica facendone un uso spesso anche poco accorto. La rinascita è possibile solo con scelte chiare e coraggiose. Peraltro una decisione così netta a favore delle aree svantaggiate non esporrebbe l’Italia a frenate europee e obbligherebbe la macchina pubblica italiana centrale e regionale a riorganizzarsi.
Ci pensi, Presidente Conte. Sembrava impossibile ribaltare la situazione in Europa e è avvenuto. Se non vuole sprecare quel risultato storico deve ripetersi in casa. Se non sarà possibile può anche valere la pena di lasciare il campo a altri perché la causa servita è nobile. Noi ovviamente ci auguriamo il contrario.
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La PA italiana, da decenni, è la peggiore dell’Europa Occidentale. E’ al livello di quella della Russia di Gogol. Autoreferenziale, inefficiente, corrotta, superba (nell’accezione deteriore). Quella regionale, a giudicare dal livello delle performance, anche peggio.
Faccio un piccolo esempio, ma significativo.
Sto contestando da 2 anni e mezzo l’errata interpretazione di due norme pensionistiche (una della Riforma Sacconi e l’altra della Riforma Fornero) da parte del Ragioniere Generale dello Stato e della Direttrice Generale Previdenza, ai quali la Riforma Sacconi ha assegnato, a pena di sanzione erariale, il compito di emettere, di concerto, un decreto direttoriale per l’adeguamento periodico dell’età di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione alla speranza di vita. La loro duplice errata interpretazione impatta negativamente su TUTTI i futuri pensionati.
Inviai nel febbraio 2018 ai due alti dirigenti una lettera e, poiché tali errate interpretazioni sono presenti anche in tutte le leggi in materia, incluse le Leggi di Bilancio, la inviai p.c. anche al Presidente della Repubblica, che le ha promulgate.
Nel marzo 2019, il Segretariato Generale del Quirinale, avendo evidentemente trovate fondate le mie argomentazioni, mi informò che aveva trasformato la mia lettera in un esposto e l’aveva trasmesso al Ministero del Lavoro “per l’esame di competenza”.
Ero convinto che, con tale autorevolissimo sostegno, i due alti dirigenti avrebbero ammesso il loro evidente errore e modificato la loro interpretazione delle due norme. Invece, con mia grande sorpresa, hanno tenuto in non cale anche la segnalazione del Quirinale. Peggio che nella Russia zarista di Gogol. Ho riscritto loro e avuto un’interlocuzione con il funzionario della DG Previdenza incaricato della risposta, che ha anche riconosciuto verbalmente che “non ho tutti i torti”, ma alla fine invano.
Ora, poiché il problema ha carattere generale e non personale, ho potuto presentare una petizione sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica, chiedendo l’interpretazione autentica delle norme oggetto della predetta errata interpretazione. Secondo la procedura, la petizione è stata letta in Aula e assegnata alla Commissione competente, cioè quelle del Lavoro e Previdenza sociale della Camera e del Senato. Commissioni che – analogamente ai Sindacati, ai Media, ecc. – hanno tenuto in non cale varie mie lettere inviate loro p.c. sullo stesso tema, incluse quelle ai due alti dirigenti e al Presidente della Repubblica.