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POTENZA – Lo chiamavano il “ragazzo” o il “giovanotto”, e lui rispondeva “direttore” o “grande capo” a seconda che parlasse con Vincenzo Sigillito oppure l’assessore. C’era da andare a prendere le camicie in lavanderia? Bisognava acquistare i giornali?
Serviva qualcuno che accompagnasse Erminio Restaino nei suoi giri per la campagna elettorale? Mario Gentile, di nome e di fatto, era sempre a disposizione.
Come giustificare l’assunzione all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente?
Anche per lui, come per gli altri interinali: “esigenze straordinarie ed eccezionali ascrivibili a situazioni di urgenza non fronteggiabili con il personale in servizio”.
E qualcuno si azzardi a dimostrare che se non fosse stato per lui le camicie di Sigillito non sarebbero rimaste in tintoria.
Sembrerà soltanto un esempio molto comune del malcostume diffuso nei rapporti tra politica e pubblica amministrazione.
Ma una volta scoperto e documentato gli inquirenti parlano di truffa bella e buona.
Dicono di più: l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente sarebbe diventata “un autentico bene strumentale di “certa” politica”.
Né più né meno. Con una sola concessione a chi l’aveva governata prima di Sigillito, ma soltanto perché “non è dato sapere – agli investigatori – se lo sia sempre stato, dovendosi riferire esclusivamente al periodo di vigenza delle attività di intercettazione.”
Quello di Mario Gentile sarebbe quindi un caso “emblematico” di questa degenerazione.
A riscontro del senso reale dello stipendio che gli veniva elargito (e delle mansioni che di fatto avrebbe svolto) agli atti dell’inchiesta sul bubbone degli uffici di via dell’Industria c’è una mole di intercettazioni tra Gentile e l’ex direttore Vincenzo Sigillito, Gentile e Restaino, Restaino e Sigillito, la segreteria dell’assessore – all’epoca soltanto consigliere capogruppo del Pd in Regione – e Sigillito, Sigillito e un amico imprenditore.
Perché Gentile all’occorrenza si metteva a disposizione non solo dei suoi “capi” ma anche dei loro segretari. C’era da accompagnare a Foggia la madre di un altro degli uomini più fidati di Restaino?
Ci pensava Gentile, che in cambio sembra non chiedesse altro che sedersi a tavola con lorsignori, tanto più se a cena era invitato un ospite speciale.
«Senti Enzo, sono stato… mò sto venendo, sono stato ad una cena che hanno organizzato al Park Hotel (.) hanno organizzato una cena. il partito… eh, c’era pure Mario! (Gentile, ndr)».
E c’era pure Massimo. Massimo D’Alema, il primo giugno del 2009, in occasione della campagna elettorale per le provinciali e le comunali nel capoluogo.
L’amico imprenditore racconta a Sigillito la serata e l’ex dg commenta: «Chi cazzo lo mantiene più a Mario! Dice che ha mangiato con D’Alema!».
E l’altro di rimando: «Madonna mia! Ha mangiato, ho visto il ragazzo… si è fatto portare due razioni di coso là… di tiramisù! Ti ricordi quel tiramisù a Roma, uagliò! Doppia porzione! Abbondante!».
In quei giorni di campagna elettorale Gentile non sarebbe stato molto presente in ufficio.
«Direttore – spiega al telefono con Sigillito – mi sono permesso di mettermi in ferie, come riposo compensativo, ho fatto la domanda, ho fatto la domanda perchè Erminio mi ha chiesto di mettermi in ferie da domani”. Erminio s’intende Restaino. E in un’altra intercettazione Sigillito a Gentile: «Allora non ti sei mosso stamattina?».
E lui: «Direttore, non ho avuto manco il tempo… come ho lasciato a voi, sono andato da lui (.) da Erminio, a fare i giri, siamo andati…al Partito, poi non mi ric… due o tre parti (…) Mò l’ho lasciato che…sopra a fare dei servizi».
In ferie da un ufficio per tuffarsi anima e corpo in campagna elettorale.
Un “factotum”, Mario Gentile, al servizio di due padroni.

Leo Amato

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