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Prima di ogni cosa abbiamo il dovere di dire che ci fanno sorridere i tentativi di certa stampa in affanno editoriale di sviare l’attenzione del pubblico dibattito dall’affaire Fenice all’affaire Claps. Non cadremo, perciò, nella trappola delle piccole macchine del fango di Basilicata, che guarda caso vedono come protagonisti sempre i soliti Torquemada e i soliti livorosi, che anziché battagliare – come facciamo noi – in difesa della pubblica salute e della trasparenza amministrativa, indicano alla folla bersagli fantasiosi, magari a beneficio di un’astuta classe dirigente che sa finanche coordinare l’antipolitica (lo zuccherino fa gola a tanti, è umano).

Quest’oggi, dunque, non ci occuperemo della miseria umana prezzolata, che rimandiamo a quando ogni verità su Fenice sarà definitivamente emersa, perché dev’essere chiaro a tutti che nessuno potrà mai fermare le inchieste del “Quotidiano” su quella che Paride Leporace ha efficacemente definito 305626“la macchia nera”, nonostante l’attivismo dei piccoli guru della comunicazione regionale, sempre in affannosa ricerca – con buon portafoglio pubblico – di spie, questuanti, crumiri e di qualche killer mediatico di statura nana.

Abbiamo schiena e nervi saldi, e non abbiamo paura, perché parliamo in difesa dei “beni comuni”, e perché abbiamo a cuore solo una cosa: che la Basilicata possa avere un futuro, non solo un futuro migliore, ma proprio un futuro stricto sensu, perché per come stanno oggi le cose la nostra Regione (la sua classe dirigente) sta mettendo in grave pericolo la sua stessa sopravvivenza, se è vero com’è vero che dal centrosinistra nazionale al centrodestra nazionale si stanno levando a più riprese posizioni inquietanti intorno all’inutilità della nostra Regione.

Lo diciamo senza tentennamenti: il sistema di potere e di occupazione della cosa pubblica di questo centrosinistra è nella sua fase terminale, e questo ci preoccupa non poco, perché significa che trascorreremo i prossimi mesi a registrare una caotica agonia, e non a occuparci di sviluppo, di sanità, di petrolio, di turismo, di cultura, di infrastrutture, di energia, di efficienza amministrativa e professionale. Il vecchio metodo della congiura del silenzio – usato in queste ore ancora una volta dal presidente De Filippo – non funziona più, perché la società civile si è evoluta (non siamo più contadini subalterni dei tempi di Colombo), e perché in questa Regione ci sono migliaia di uomini liberi che non devono niente al munifico portafoglio regionale.

Non pensasse il segretario regionale del Pd di cavarsela dando in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo capro espiatorio (Vincenzo Sigillito), perché è un film già visto, e perché il vero tema è il clientelismo degli enti regionali o subregionali, che poi, a catena, crea asservimento e incapacità professionale (se c’è un solo non raccomandato dell’Arpab, che esca allo scoperto), e quindi negligenza (caso Fenice). Detto in altri termini: non è Sigillito in sé il problema, ma il dato di fatto che chiunque voglia far parte della classe dirigente regionale (e sono in pochi, sempre gli stessi da quindici anni, e sono pochi perché non è facile rispettare tutti i patti “segreti” che la politica ti chiede) deve rispettare precise regole non scritte, che Speranza si guarda bene dal cancellare; Speranza, anzi, del sistema clientelare condivide ogni cosa (vedi sponsorizzazione di Maroscia al San Carlo di Potenza), e ai cittadini lucani offre una stucchevole e vergognosa doppia morale: da un lato dice che bisogna alzare l’asticella della buona politica, dall’altro si è fatto furbissimo arbitro e garante di un sistema corrotto e clientelare (non basta essere giovani per essere “nuovi”).

Anziché dire di avere fiducia nella magistratura, perché Speranza non dice che il partito che lui dirige è una sorta di ufficio di collocamento (a discapito di tante professionalità “senza santi in paradiso”) per iscritti più o meno illustri? Siccome lui non può dirlo, allora lo diciamo noi: il partito-Regione è una gigantesca macchina di affari “interessati”, di prebende e di clientelismo, e questo sarebbe anche accettabile (paradossalmente) se il risultato fosse un buon Pil, una buona sanità, una buona pubblica amministrazione, un buon ruolo della Basilicata sullo scacchiere nazionale, una crescita della società civile e culturale, una spesa pubblica sobria, oculata e giusta, e invece questo non accade, perché sempre la corruzione e il clientelismo ammalano la società, e la società lucana (e non solo i suoi terreni) è gravemente ammalata, e noi tutti – intellettuali, giornalisti, amministratori onesti, semplici cittadini che vivono di lavoro – abbiamo il dovere di dirlo, di dirlo senza paura, perché parliamo solo in difesa dei “beni comuni”, del futuro della nostra terra.

Succedono cose strane, in questa Regione. Succede per esempio che fratelli, sorelle (o fratelli e sorelle insieme), cugini, autisti, ecc., siano tutti sistemati nei vari Eldoradi che si chiamano Arpab, Arbea, Asl, Acquedotto lucano, Regione, ecc. E come mai i più intelligenti e i più preparati di questa Regione sono sempre imparentati o legati a uomini politici? Ne dobbiamo dedurre che i figli di nessuno siano sempre ignoranti e impreparati? Ora, siccome tutti – da Pagliuca a Restaino, da Latronico a Folino – condividono lo stesso metodo clientelare, è ovvio che si abbia interesse ad acquietare le acque, perché “il sistema” va preservato anche a costo di calpestare la verità e la dignità di un popolo. Noi però non ci stiamo, perché vogliamo che qualcuno bonifichi la nostra terra dai veleni della politica e dai veleni delle multinazionali. E che lo faccia subito, prima che sia troppo tardi.

Si proceda perciò al commissariamento del Pd (essendo il partito il luogo di confluenza degli interessi particolari e dei governi locali, e quindi lo snodo principale del “sistema Basilicata”), e si costringa il Pd ad autorinnovarsi, per spingere la politica di governo a tagliare i ponti con un “sistema” che è entrato nella sua fase finale. Se non lo farà il Pd, lo farà autonomamente il corso progressivo degli eventi politici, perché la maggioranza dei lucani non ne può più di corruzione, di lotte per bande, di signori delle tessere, di nomine squalificanti, di manovre di palazzo, di rimestatori pagati dal pubblico danaro. Se in coscienza Roberto Speranza pensa che quella lucana sia davvero “buona politica”, o che da quando c’è lui qualcosa è migliorato, allora le sue dimissioni diventano obbligatorie e doverose. A meno che non ammetta di essere il garante di un “sistema” corrotto che premia i pochi a svantaggio dei tanti. In quel caso ne apprezzeremo la cinica onestà. Ma non ci faremo intortare da un linguaggio astratto e furbo, di chi cerca di accontentare tutte le bande affamate del partito. Ci aspettiamo parole chiare. Perché non permetteremo che la sua ambizione di diventare futuro presidente della Regione passi sulla dignità di migliaia di persone offese da un sistema squallido e corrotto che sta mettendo in pericolo addirittura la nostra sopravvivenza istituzionale. Le dimissioni di De Filippo (che volle fortemente Sigillito all’Arpab) non le chiediamo solo perché non abbiamo voglia di impantanarci nella sua furbesca bravura a scaricare responsabilità e connivenze, a cadere dalle nuvole di fronte a ogni problema (in perfetto stile andreottiano). La furbizia logora chi non ce l’ha. E noi non abbiamo tempo da perdere.

Andrea Di Consoli

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