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Il premier Giuseppe Conte e il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano

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All’intervento che si dovrebbe tradurre in un taglio dal primo ottobre del 30% di contributi va affiancato subito il progetto Mezzogiorno di Alta velocità ferroviaria-porti-retroporti e Ponte sullo Stretto. Non può essere un caso che tutte le istituzioni europee chiedano il riequilibrio territoriale. Per questo non sono ammessi passi indietro

La fiscalità di vantaggio con effetto immediato per le imprese del Mezzogiorno è il primo segnale concreto di una politica economica che persegua il riequilibrio territoriale. Ovviamente se confermata nelle modalità e nei tempi annunciati. L’ostinazione del ministro Provenzano e la rotta ferma del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, pongono le basi di un disegno di politica industriale che torni a perseguire l’obiettivo del riequilibrio territoriale e a fare i conti dopo venti anni di letargo con il problema competitivo italiano.

La deglobalizzazione in atto a seguito della Grande Depressione mondiale da Covid 19 rende i territori meridionali oggettivamente competitivi rispetto a Cina e Romania, solo per fare un paio di esempi, agli occhi di investitori interni e esterni. Abbiamo, però, il dovere di avvertire che il progetto integrato Mezzogiorno di Alta velocità ferroviaria-porti-retroporti e Ponte sullo Stretto deve affiancare subito alla voce fatti l’intervento di fiscalità di vantaggio che si traduce in un taglio immediato del 30% di contributi e, superati i vagli europei, a scalare fino al 2027. Questo non altro può significare tornare a attuare oggi la coerenza meridionalista degasperiana degli anni del miracolo economico italiano.

Abbiamo documentato fino al dettaglio più minuto la miopia di venti anni di estrazione di risorse di sviluppo destinate al Sud operata dalle aree forti del Paese per alimentare un indebito privilegio assistenziale che ha fatto crescere la mafia imprenditrice endogena al Nord e ha di fatto determinato la scomparsa della grande azienda privata. Si è arrivati al punto negli ultimi cinque anni di azzerare totalmente gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno riducendo il reddito pro capite dei cittadini meridionali alla metà di quello dei cittadini del resto del Paese. Queste sono le ragioni per cui gli unici due territori europei che non hanno raggiunto in Europa i livelli pre-crisi del 2007/2008 (ancora prima del Covid) sono il Nord e il Sud dell’Italia ovviamente in misura differente.

Tagliare drasticamente la spesa sociale e abolire la spesa per infrastrutture nei territori meridionali è stato il doppio atto irresponsabile che rischia di condurre l’economia italiana fuori dal novero delle grandi economie industrializzate. Si è consumato in un centro decisionale nascosto, la Conferenza Stato-Regioni, che ha tradito la democrazia italiana e ha fatto pagare alle donne e agli uomini del Sud il costo generale dell’austerità e, in genere, delle grandi Crisi internazionali. Oggi è tutto chiaro e non può essere un caso che tutte le istituzioni europee chiedano all’Italia di mettere al primo punto dell’agenda economica il riequilibrio territoriale. Per questo non sono ammessi passi indietro o mezzi passi in avanti.


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