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di ANGELO CANNATÀ
Il viaggio del Papa/2 C’è molta attesa per l’arrivo del Papa in Calabria. Attesa e speranza. Giusto. I fedeli hanno le loro esigenze e l’evento (che ha – inevitabilmente – un grande valore mediatico) va preparato con cura. Il palco. La scena. La scenografia. Si mobilitano tutti: manovalanza, tecnici, artigiani e artisti; la politica, destra, sinistra, centro; la Chiesa nazionale (con i suoi inviati) e quella locale: la Calabria non può sfigurare. E’ tutto molto bello, armonioso e unitario. Verrebbe voglia di dire: ecumenico. Tuttavia bisogna anche chiedersi (“mestiere crudele il giornalismo”), chi sia veramente questa figura simbolica così attesa e preziosa, con accento tedesco, sguardo mite, convinzioni rigide, che ha alle spalle una tradizione (Santa Romana Chiesa) con duemila anni di storia. Ebbene, Ratzinger non è – per usare un’espressione diffusa – un “Papa pastore”, ma un “Papa teologo”. Non è solo un problema di termini, di linguaggio. Cambia la sostanza del messaggio e l’atteggiamento e il modo di porsi. Cambia, soprattutto, la priorità dei temi: l’importanza che viene attribuita, inevitabilmente, ad alcuni argomenti piuttosto che altri. Spesso, gli appuntamenti nazionali e internazionali di Papa Ratzinger sono stati l’occasione per ribadire le posizioni più dure e oscurantiste del suo pontificato: un no – netto e radicale – all’aborto; no all’eutanasia; no alla procreazione in vitro; no agli anticoncezionali (incredibile l’infelice uscita in Camerun, 2009: “l’Aids? Gli anticoncezionali ne aumentano l’incidenza”); no alla modernità, figlia dell’illuminismo e del relativismo; no alla revisione critica di posizioni che cancellano le aperture del Concilio Vaticano II. Di più, e con grave scandalo, pesano su Ratzinger i silenzi del passato su “Chiesa e pedofilia”. Bastano questi rapidi accenni per comprendere che il viaggio in Calabria, al di là delle legittime attese dei fedeli, rischia di essere solo l’ennesimo teatro di vecchi discorsi di un “papa inquisitore” (così è stato definito) che ha bloccato – o comunque fortemente rallentato – il cammino intrapreso dal “Papa buono”. E’ il pessimismo della ragione che induce a queste considerazioni. L’ottimismo della volontà – a cui vogliamo abbandonarci – parla invece un altro linguaggio: dice che vorremmo dal Pontefice, in questo viaggio, un discorso forte sulla piaga purulenta che ammorba la Calabria: la mafia: che corrompe “giovani vite” e le distrugge; incute timore, terrorizza, uccide; che traffica con la droga, gli appalti, la prostituzione; che si ramifica nei partiti e nella politica, penetrando ai livelli alti delle istituzioni. Ecco cosa ci aspettiamo da Lei – Santo Padre – un discorso come quello storico di Wojtyla in Sicilia: duro e determinato (come Gesù che con sublime “violenza” urlò contro i mercanti del Tempio). E’ possibile? E’ nei piani di Santa Romana Chiesa? E’ opportuno? C’è la volontà di spezzare in Calabria un silenzio che ha coperto – nella migliore delle ipotesi non ha ostacolato – una politica nazionale collusa (Previti-Dell’Utri-Mangano-Berlusconi)? La speranza induce a dire sì. Vogliamo crederci. Il viaggio in Calabria – tra scenografie, visite ai conventi e opportune preghiere – avrà questo stupefacente significato: Papa Ratzinger coglierà l’occasione, in terra di ‘ndrangheta, per sferrare un attacco a tutte le collusioni, locali e nazionali, con il crimine. Una svolta. Un aiuto concreto e autorevole alla battaglia che tanti movimenti ogni giorno combattono contro la Piovra mafiosa. Questo vorremmo. Questo attende l’opinione pubblica, la società civile onesta e democratica. Ascolti la nostra preghiera – Santità –, una preghiera laica. Lasci da parte, per una volta, gli anatemi contro il relativismo. Scenda dal cielo teologico e si guardi intorno. Molti capimafia hanno nei rifugi i santini e l’immagine di Gesù. Dica che non sono degni. Che le loro azioni contraddicono il messaggio d’amore di Cristo; che non possono vivere in quest’orrenda ipocrisia; che non possono nominare Dio e uccidere con atroce freddezza; che devono smetterla di portare in processione i santi – accade ancora – e rinnegarli con azioni infami. Non è concesso. Lo dica anche a qualche prete tiepido con la mafia. Spieghi che “il miglior modo di onorare i santi è imitarli” (Erasmo). Se questo accadrà, il viaggio in Calabria avrà un significato storico. La mafia frena lo sviluppo. Questo è il punto. E non c’è discorso sulla disoccupazione giovanile in Calabria, che possa prescindere dalla lotta al crimine organizzato. In un’enciclica leggiamo che “l’imprenditoria deve mettere al centro la persona e non il profitto”. Vero. Ma questo vale per il Nord, Santo Padre. Nel profondo Sud, bisogna aggiungere che l’imprenditoria mafiosa è “il” male: nel suo universo la persona non perde soltanto la centralità: non esiste. Questo è il tema. Questo il difficile (impossibile?) cancro da estirpare. Non ho il dono della fede, Santità . Sotto certi aspetti invidio chi riesce a dire “Credo perché assurdo”. Ma sono molto attento al ruolo sociale della Chiesa. Posso solo sperare che il Suo Dio – e la fede che La guida e che rispetto – illumini le Sue parole.

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