Il rendering del ponte sullo Stretto
7 minuti per la letturaLa decisione dell’Unione europea di eliminare il corridoio Berlino/Palermo significa di per sé che l’Europa ha bocciato l’idea del Ponte?
«La decisione dell’Unione Europea di cancellare il Corridoio Berlino/Palermo e di spostare il baricentro sull’asse Napoli, Bari, La Valletta non è solo una bocciatura del Ponte, ma anche delle Politiche Infrastrutturali fatte in Calabria e Sicilia negli ultimi 30 anni. Si è ritenuto meno costoso portare le merci via mare, piuttosto che utilizzare il percorso di terra, attraversando la Calabria e la Sicilia. La decisione dal punto di vista trasportistico è ineccepibile, ma condannerà le due regioni ad un’ulteriore marginalizzazione. Questo è il risultato del perenne annuncio del Ponte. Invece di costruire le infrastrutture che servono, di migliorare le ferrovie si sono magnificate le potenzialità di un Ponte inutile, dannoso e di dubbia realizzabilità e si è distolto lo sguardo dalle vere necessità. Il Ponte è stato uno “specchietto per le allodole” che ha impedito la modernizzazione del sistema dei trasporti in Calabria e in Sicilia».
Considera ancora il ponte è una delle priorità sui cui il Mezzogiorno deve puntare?
«Il Ponte è un inutile spreco di denaro pubblico che produce, in un periodo di risorse scarse, un effetto di spiazzamento sugli altri investimenti. Non è vero che il Ponte trascinerà il sistema infrastrutturale del Sud; piuttosto impedirà altri interventi più utili e prioritari. Con il federalismo fiscale, poi, i costi di gestione dell’infrastruttura ricadono sulle Regioni direttamente interessate. La costruzione del Ponte sullo Stretto significherà, quindi, meno scuole, meno strade, meno ferrovie, meno ospedali, meno teatri, meno cultura, meno sanità, meno acquedotti in due Regioni che già presentano un forte deficit infrastrutturale. Questo sarebbe semplicemente folle».
La crisi economica e finanziaria internazionale può essere un motivo per archiviare l’idea del Ponte sullo Stretto?
«L’obiettivo imposto all’Italia di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 ha portato a tagli dolorosissimi e a sacrifici in tutti i settori. Se Tremonti avesse 8,5 miliardi di risorse disponibili, li avrebbe usati per rendere meno dura l’ultima manovra. La crisi finanziaria rende più evidente il fatto che per il Ponte non ci sono risorse disponibili oggi, né ve ne saranno nel medio periodo».
Quanto costerà l’opera e da dove verranno i finanziamenti?
«Il progetto di massima prevedeva un costo di 4,6 miliardi di euro. Nel 2008 i costi sono saliti a 6,3 miliardi di euro. Con il progetto definitivo i costi sono quasi raddoppiati: siamo a 8,5 miliardi di euro. E il progetto esecutivo potrà ancora far lievitare le cifre. Viene confermata l’ipotesi del project financing con un 40% a carico dello Stato e un 60% da reperire sui mercati internazionali. Sulla base delle ipotesi ottimistiche della Stretto di Messina, il Ponte potrà dare una redditività solo dopo quarant’anni di esercizio. Una infrastruttura che ha tempi di ritorno superiori a quindici anni è catalogata come «fredda», ossia poco redditizia. Ma in realtà il Ponte non riuscirà mai ad avere un punto di pareggio, per il semplice fatto che i costi di gestione e manutenzione saranno sempre superiori ai ricavi. Sarà, quindi, un’opera destinata ad assorbire flussi di cassa (pubblici) per ripianare i deficit annuali. È quindi ovvio che tutti i sondaggi per la ricerca di finanziatori abbiano dato risultati negativi. Il 60% di finanziamento privato oggi non c’è e probabilmente non ci sarà in futuro. Ma neanche il 40% di denaro pubblico è disponibile, poiché lo stanziamento netto per il Ponte nel Bilancio dello Stato oggi è zero euro. E allora ecco la trovata: un prestito garantito dallo Stato. Ma questo non è a tutti gli effetti debito pubblico? Non è affatto vero che il Ponte è a costo zero per la finanza pubblica, anzi è totalmente a carico dello Stato».
Si sostiene che il ponte avrebbe per il Sud l’effetto che la Torre Eiffel ha per Parigi. A suo avviso porterà benefici indiretti legati al turismo?
«Dal punto di vista turistico, lo Stretto di Messina rappresenta di per sé un’attrattiva. L’altissimo valore estetico del paesaggio, la storia di questi luoghi cantati già da Omero, la straordinaria ricchezza in termini di biodiversità, sono solo alcuni aspetti che il Ponte verrà a pregiudicare irrimediabilmente. Le politiche turistiche, poi, puntano sull’organizzazione dell’offerta turistica. Il caso portato come esempio dai fautori del Ponte, quello della Torre Eiffel, non regge. Parigi è una città dall’offerta turistica molto diversificata, nel cui contesto si inserisce la Torre Eiffel. Senza offerta turistica non si avrebbero ricadute. L’infrastruttura non porta da sola a un incremento dei flussi turistici. Il Ponte, quindi, fa diminuire il potenziale turistico dello Stretto».
Quali benefici si avranno per la mobilità interna ed esterna alla Calabria?
«Per la mobilità all’interno dell’area urbana dello Stretto il Ponte comporterebbe un peggioramento delle condizioni attuali di accessibilità. Altro che Grande Metropoli dello Stretto! Il tempo stimato per raggiungere il centro di Reggio Calabria, partendo dal centro di Messina, sarà dell’ordine di due ore. Sulla mobilità di lunga distanza, essenzialmente di tipo merci, si avrebbe un risparmio di circa 10-20 minuti in condizioni di normalità. Il risparmio di tempo non è sufficiente a dimostrare la convenienza economica dell’investimento per i motivi seguenti. Un investimento 100 volte inferiore all’investimento nel Ponte, diretto al potenziamento delle infrastrutture di trasporto, produrrebbe un risparmio in termini di tempo di percorrenza di circa 30-60 minuti. Il risparmio di 10-20 minuti è ininfluente sui tempi di percorrenza nel caso di lunghe distanze. La dimensione economico-sociale ottima per il trasporto delle merci è costituita dal trasporto su lunga distanza via mare, che ha costi privati e sociali notevolmente inferiori alle altre modalità».
Occupazione: il Ponte garantirà lavoro per almeno 40mila persone. Cosa ne pensa?
«Secondo la Stretto di Messina, il beneficio in termini di occupazione creato dal Ponte dovrebbe essere di almeno 40.000 posti di lavoro. Va subito chiarito che i 40.000 posti di lavoro di cui si parla sono il risultato della moltiplicazione di 4000 addetti per i 10 anni di costruzione e chi tratta solo di posti di lavoro temporanei legati a questa fase. Il vero problema è che il Ponte in esercizio produrrà poco meno di 1.000 posti di lavoro stabili e questo numero sarà inferiore agli esuberi che si registreranno nel settore dei trasporti navali. Nella migliore delle ipotesi si sposteranno posti di lavoro dal settore marittimo ai servizi connessi con il Ponte, ma con un saldo negativo. Il Ponte, quindi, distrugge occupazione»
Il Ponte potrà essere funzionale allo sviluppo del territorio?
«L’idea che il Ponte possa essere funzionale tout court allo sviluppo puzza fortemente di stantio. Sono assai strani i liberisti, fautori del Ponte, che si riscoprono keynesiani nel momento in cui, non riuscendo a far funzionare i mercati e ad essere competitivi, tentano la carta ultima ed estrema dell’investimento in infrastrutture materiali, con la speranza che l’attivazione mediata degli altri settori possa rilanciare l’economia nel suo complesso. Il trascinamento «keynesiano» che si verificherebbe nella fase di costruzione non può assicurare una crescita economica di lungo periodo. Il Ponte-Cattedrale nel deserto è una megainfrastruttura che poco ha a che fare con lo sviluppo. Non è affatto vero che il Ponte sarà l’investimento che trascinerà il sistema infrastrutturale del Sud; sarà piuttosto l’intervento che impedirà altri interventi più utili e anzi prioritari. La logica vorrebbe il Ponte sullo Stretto fosse il punto finale di una politica delle infrastrutture che, dopo aver migliorato le infrastrutture interne alle due Regioni ed eliminato tutti i colli di bottiglia nelle reti di trasporto, facesse crollare l’ultimo diaframma. E non il contrario! La scelta è quindi tra la costruzione del Ponte e il vero sviluppo di Calabria e Sicilia».
L’imponente massa finanziaria necessaria per la realizzazione dell’infrastruttura non pensa che possa stimolare gli appetiti della criminalità organizzata con tutte le conseguenze che ne discendono?
«Un investimento di oltre 8 miliardi di euro concentrato in un’area ad alta densità criminale non può che suscitare allarme».
Quali garanzie contro il rischio sismico?
«La sismicità dell’area è uno dei tanti aspetti che rendono insostenibile la costruzione del Ponte. Il Colosso di Rodi ne è forse la miglior metafora: opera senz’altro ardita, ma priva di qualunque utilità pratica che ne giustificasse la costruzione, totem alla volontà di potenza che cerca stupidamente di sfidare la natura. Non voglio essere profeta di sventura, ma probabilmente oggi non possediamo ancora una tecnologia in grado di assicurare la stabilità del Ponte rispetto a un terremoto. Nel progetto viene assicurato che il Ponte potrà resistere a un evento sismico di magnitudo 7,2 della scala Richter. Vorremmo sottolineare che un terremoto di magnitudo superiore a 7,2 non è un evento improbabile, se consideriamo che nel mondo ogni anno vi sono almeno cinque eventi sismici di questa intensità. Non è, quindi, avventato temere che il Ponte, se costruito, potrebbe fare la stessa fine del Colosso di Rodi».
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