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Due ergastoli ed una condanna a 20 anni di reclusione sono stati chiesti oggi dalla pubblica accusa nel corso dei tre giudizi abbreviati a carico dei altrettanti giovani finiti in manette con l’accusa di concorso nel duplice omicidio dei fratelli gemelli 45enni Vito e Nicola Grattà, avvenuto l’11 giugno 2010 a Gagliato (Catanzaro). Il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Vincenzo Capomolla, ha concluso la propria requisitoria chiedendo il carcere a vita per Alberto Sia e Patrik Vitale, mentre 20 anni sono stati chiesti per Giovanni Catrambone. E’ seguita la discussione del difensore di quest’ultimo, l’avvocato Giovanni Caridi, che ha concluso chiedendo l’assoluzione del proprio assistito. Poi il giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro, Abigail Mellace, ha rinviato alle udienze del 18 e 20 ottobre per le altre arringhe difensive (gli altri avvocati impegnati sono Gregorio Viscomi, Salvatore Staiano, Sergio Rotundo, e Felice Siciliano) e la sentenza. Gli imputati per i quali è in corso l’abbreviato sono Alberto Sia, 26 anni, di Soverato, avvisato orale di pubblica sicurezza e figlio di Vittorio Sia, 51 anni, il presunto boss ucciso in un agguato il 22 aprile scorso; Patrik Vitale, 26 anni, di Satriano e Giovanni Catrambone, 22 anni, di Montepaone, entrambi noti per reati minori. Sono stati condotti in carcere dai carabinieri il 2 luglio 2010, in esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia, che poi il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Emma Sonni, ha convalidato. I tre giovani – assieme ai quali è stato indagato anche un minorenne -, secondo la tesi dell’accusa avrebbero partecipato alla ideazione e all’esecuzione dell’omicidio dei Grattà, maturato nell’ambito di una faida tra cosche per il controllo del soveratese, nonchè del territorio a cavallo con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Una delle vittime di questa guerra è stato proprio Vittorio Sia, padre di Alberto, ed ora quest’ultimo e Vitale e Catrambone sono sospettati di aver rubato lo scooter utilizzato per l’agguato di chiaro stampo mafioso in cui sono stati freddati i due Grattà – le ipotesi d’accusa per i tre sono di concorso in omicidio aggravato, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco -. Le intercettazioni e i riscontri investigativi hanno permesso ai carabinieri di verificare che i tre giovani avrebbero rubato lo scooter, dopo il duplice omicidio rinvenuto bruciato in località Pietà di Petrizzi, non distante dal luogo dell’agguato, e cioè in una zona che sarebbe sotto il controllo proprio di Sia e degli altri due fermati. Qui i militari hanno rinvenuto anche una pistola 9×19 con quattro colpi nel caricatore, pure bruciata, compatibile con quella utilizzata per l’agguato.
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