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di LUCIA SERINO

POTENZA – Vi fareste operare al cuore sapendo che il chirurgo che si appresta ad aprirvi il torace sta lavorando notte e giorno da un bel po’, con il rischio che è senza un riposo e una lucidità adeguati? Chi sono i medici che entrano nella sala operatoria di cardiochirurgia del più grande ospedale regionale dove ancora oggi arrivano pazienti da strutture vicine molto qualificate (ad esempio la clinica Montevergione di Mercogliano, molto famosa) per interventi di alta specializzazione come l’impianto delle Tavi?

Quella che vi stiamo raccontando è la parabola del reparto che era il fiore all’occhiello dell’ospedale San Carlo di Potenza, la cardiochirurgia. Venivano da tutto il Sud, ma non solo. Incontri ancora, fuori regione, persone che te lo raccontano. Per alcuni, anzi, il nome Potenza è legato esclusivamente all’ospedale e l’ospedale esclusivamente a quella specializzazione. Del dipartimento fa parte anche la cardiochirurgia pediatrica, ma da qui bambini non ne passano, pochissimi, qualche albanese o altri piccoli stranieri, stop. L’accordo con il Bambino Gesù fa ben sperare. Ma per una cosa che va molte altre sono da sistemare. Quando arrivò Sergio Caparroti la fama del reparto si consolidò dopo gli anni fulgidi di Tesler che l’aveva avviato.

Caparrotti veniva dalla sanità privata, operava, operava. Fecero la fila in reparto per ingraziarselo, il successo aumentò, i problemi pure e Caparrotti alla fine si dimise, per via delle indagini di Woodcock sulla sanità ma anche perché – come scrisse nella lettera d’addio che il Quotidiano pubblicò – perché l’ambiente gli era ostile, troppe chiacchiere e troppi veleni. Quando chiuse la porta quasi nessuno, di quelli che avevano fatto la corsa per accaparrarsene la fiducia, gli strinsero lealmente la mano. Capita così, in fondo, con tutti i capi. Cose umane.

E si ricominciò, nuovo primario, nuova corsa. A capo della squadra oggi c’è il professor Roberto Gaeta, dell’università di Messina. Otto medici più un nono a tempo determinato che però lavora molto. Ma oggi non tutto fila liscio. E farebbe bene Des Dorides a intervenire subito.

L’organizzazione del lavoro non va. C’è un bel numero di vertenze al giudice. Gli accertamenti dell’ispettorato del lavoro hanno già fatto riscontrare delle irregolarità che sono state sanzionate. Il procedimento è in corso per le contestazioni dell’azienda ospedaliera. Ma è sul piano dei rapporti interni che si registrano situazioni molto tese. Le lettere inviate già in passato all’ex direttore generale De Costanzo e al dirigente sanitario Pennacchia (a proposito le voci del Palazzo lo danno fuori dalle prossime nomine, con scarse possibilità di essere riconfermato, più consolidata invece sembra essere la posizione del direttore amministrativo, Pedota) sono rimaste carta straccia, le discussioni sindacali non hanno contribuito a risolvere il contenzioso, con alcuni interrogativi inquietanti: ad esempio è stato sempre annotato tutto sul registro degli interventi?

Tra i vertici qualcuno ti risolve così il problema: «I cardiochirurghi? Tutte primedonne». Sarà, ma c’è un contenzioso giudiziario aperto e il problema della disorganizzazione dei turni non può essere liquidato, come pure ti dicono, con un approssimativo: «Fanno cose non autorizzate». Se in qualunque azienda si fanno cose non autorizzate cos’è che succede?

Il nuovo direttore generale Des Dorides avrà un bel da fare. C’è una gran confusione nella turnazione giorno notte (è qui che sono state riscontrate violazioni da parte dell’ispettorato del lavoro per violazione degli accordi sindacali) con l’effetto di caricare i chirurghi senza andare troppo per il sottile sulla necessità di recupero. E poi l’ingresso in sala operatoria. Qui si apre un altro capitolo che è in corso di accertamento giudiziario: perché sempre gli stessi in sala operatoria? Perché sempre gli stessi per l’utilizzo delle ultime tecniche? Se si controlla la media delle operazioni fatte dai chirurghi del reparto si noterà sicuramente una disparità di trattamento: bravi alcuni e asini gli altri? Sciatteria organizzativa? Fare il chirurgo è anche un allenamento. Meno operi e meno sei quotato, meno il tuo nome gira meno persone scelgono te, anche per le visite intramoenia. All’opposto, chi più opera più si quota sul mercato, da più pazienti viene scelto, più ricco diventa. Perché c’è anche quest’aspetto da considerare, quello del vantaggio economico. Ma fermiamoci a quello che riguarda la salute dei pazienti. E ritorniamo alla domanda iniziale.Perchè alcuni possono operare e altri no? Qual è il criterio che guida la turnazione?

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