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QUANTO è accaduto a Fenice dovrebbe indurre l’intera classe dirigente della Basilicata a fare una severa autocritica e a procedere a una piena assunzione di responsabilità. Per quel che mi riguarda non ho alcuna esitazione a farlo. Sono stato eletto Senatore nel Collegio di Melfi nel 2001 e di Fenice, che si trova proprio in quel territorio, non me ne sono mai occupato. Le preoccupazioni su un possibile inquinamento, che in verità riguardavano l’emissione dei fumi e non le infiltrazioni nelle falde acquifere, le ho sempre ritenute eccessive e senza sufficienti elementi di prova. E’ evidente che il principio di precauzione rispetto a eventuali rischi ambientali non è appartenuto alla formazione della mia cultura politica come di quella, se si fa eccezione di alcune prese di posizione di Rifondazione comunista, della generalità della classe dirigente della Regione. Se così non fosse stato non saremmo giunti alla vera e propria esplosione di un’emergenza ambientale in Basilicata, da Tito al Pertusillo, da Ferrandina al fiume Noce. E non avremmo assistito al paradosso che per troppo lungo tempo le denunce di Giuseppe Di Bello, di Ulderico Pesce e Maurizio Bolognetti siano state trattate da tutti come manifestazioni di esasperato radicalismo o, peggio, come pretesti di chi fosse solo alla ricerca di una visibilità. Su Fenice, quindi, ben venga la commissione d’inchiesta della Regione tesa ad accertare – spero – anche le responsabilità politiche, oltre quelle dell’azienda e dell’amministrazione. Ed è sperabile che la magistratura mostri sui reati verso l’ambiente lo stesso zelo (ma con maggiore costrutto) dimostrato su altre vicende e in altre occasioni. Ma urge un ripensamento più generale da parte della politica sul ruolo strategico che alle questioni ambientali s’intende assegnare nella costruzione di una Basilicata capace di affrontare le sfide della crisi globale. Potremmo allora avere un confronto più soddisfacente anche sul recente accordo tra Regione e governo nazionale sulla estensione delle ricerche petrolifere a tutto il territorio regionale che molti interpretano, forse con una qualche ragione, come un’ipoteca troppo pesante sul futuro sviluppo della Basilicata. Si potrebbe guardare con meno distrazione al fatto che siamo terra di frontiera di ecomafie in azione, che i nostri paesi sono disseminati di tettoie di amianto di cui nessuno si occupa a sufficienza. Insomma, sono in campo ambientale troppe le questioni senza risposta. Rimanere ai singoli scandali e alla legittima indignazione che suscitano può anche non produrre di per sé un’alternativa. Tocca alla politica democratica fare sino in fondo i conti con i propri limiti e cercare di imboccare un’altra strada.
Piero Di Siena
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