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MELFI – Chi pensava che la conferenza stampa di Fenice Ambiente fosse l’occasione per sciogliere tutti i nodi venuti al pettine dopo dieci anni di veleni e omissioni ha dovuto ridimensionare le proprie attese. Nell’atteso incontro con la stampa, che si è tenuto ieri nella sala conferenza della sede di Melfi, non sono arrivate tutte le risposte che ci si attendeva. L’amministratore delegato Marco Steardo (nella foto) – uomo del Nord, cortese nei modi, ma anche abbottonato nei fatti – non spiega, a esempio perché Fenice non si sia autodenunciata subito – così come prevede la legge – per l’inquinamento provocato. Lui, che è Ad della società solo da poco più di un anno, non dà risposte sulle responsabilità di chi non ha fatto scattare l’allarme. «Le indagini in corso da parte della Procura di Potenza – dirà poi nel corso della conferenza – non ci consentono di fornire ulteriori elementi in merito». Ma dall’incontro qualcosa di importante è emerso, per ricostruire quanto accaduto, ma soprattutto per comprendere la situazione attuale. Partiamo da un dato, non certo secondario rispetto alle polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione di tutti dati Arpab dal 2002 fino agli ultimi monitoraggi: «Fenice ha sempre trasmesso i propri dati, già a partire dal 2002, a Comune, Provincia, Regione, Arpab e anche ministero dell’Ambiente». Chiunque si fosse preso la briga di leggere quei dati, quindi, avrebbe potuto comprendere lo stato dell’inquinamento in corso. «Non possiamo essere accusati di omessa trasmissione di quelle analisi». Ma questo è solo uno dei temi affrontati nel corso della conferenza. L’Ad Fenice preferisce illustrare gli interventi compiuti dal marzo 2009 in poi, cioé dal momento in cui la società si è decisa ad autodenunciarsi, e soprattutto fornire il risultato più importante: «Allo stato attuale sono state eliminate tutte le sorgenti di contaminazione dell’acquifero sottostante». Grazie a interventi sostenuti in questi anni per un importo di quasi 3,5 milioni di euro. L’altra importante notizia è la premessa: per la prima volta Fenice si apre al territorio.

La conferenza
L’atmosfera è formale e a tratti anche un pò tesa. Oltre all’Ad Marco Steardo, per Fenice ci sono Luca Camuncoli, dell’area comunicazione e stampa, Ruggero De Fazio e Christophe Beaufils. In sala alcuni giornalisti – non tutti quelli che ci si aspettava, per la verità – e i due consiglieri regionali, Ernesto Navazio (Ial) e Giannino Romaniello (Sel). Non ci sono, invece, i Comuni, la Provincia, la Regione, nemmeno l’Arpab. Non c’è traccia nemmeno dei membri dei comitati del no all’inceneritore. E’ la prima volta che Fenice dialoga con il territorio, lasciando spazio libero alle domande dei giornalisti. «Ma perché non lo avete fatto fino a ora?», gli chiederà qualcuno. «Perché fino a questo momento abbiamo preferito operare».

L’impianto
Chi lo chiama mostro non sbaglia, almeno per le dimensioni. Fenice Ambiente, controllata al 100% da Fenice srl (gruppo Edf), è un colosso. Per muoversi all’interno e visitarlo tutto ci vogliono almeno venti minuti. Dall’ingresso si scorge l’altro gigante: la Fiat Sata, che dista veramente poco. Due i forni del termovalorizzatore, per altrettante linee di incenerimento: una per i rifiuti industriali, l’altra per i rifiuti solidi urbani. In tutto è autorizzato a bruciare 65 mila tonnellate all’anno (30 mila rifiuti solidi, 35 mila quelli industriali). Produce 35.000 megawatt ora/anno di energia elettrica. Impiega 55 dipendenti.

Il guasto
Secondo gli amministratori di Fenice Ambiente a determinare la contaminazione delle acque di falda sarebbe stato un guasto alla rete fognaria. Gli inquinanti sarebbero derivati una un problema ai tubi che trasportano le acque cosiddette “tecnologiche” che vengono utilizzate per l’abbattimento dell’inquinamento dei fumi, e che quindi trasportano con sè tutti i “veleni”. La perdita sarebbe avvenuta a dieci metri di profondità del sottosuolo

Gli interventi di messa in sicurezza
Fenice sostiene che allo stato dell’arte non ci sono più «sorgenti di contaminazioni attive». Ovvero, Fenice avrebbe smesso di inquinare. Questo grazie a interventi di messa in sicurezza attivati a partire dal marzo 2009: sono state risanate – spiega l’Ad – la rete delle fogne tecnologiche e quella delle fogne nere. E, in forma di precauzione, sono state ripristinate le condizioni di impermeabilizzazione delle vasche interrate in calcestruzzo. Le acque inquinate si troverebbero in un’area circoscritta al di sotto degli impianti, a una profondità di 33 metri.E’ stata realizzata una barriera di prelievo di queste acque sotterranee, costituita da 28 pozzi e 14 punti di emungimento in corrispondenza delle aree più contaminate. Tutte le acque prelevate vengono inviate a un impianto di trattamento appositamente progettato. Interventi che – secondo l’Ad – hanno dimostrato la loro efficacia.

Lo stato dell’arte
I valori delle sostanze inquinanti, grazie a questi interventi, sarebbero in diminuizione. «I monitoraggi delle concentrazioni di mercurio, solventi e metalli pesanti dimostrano una tendenza decrescente». Ci sarebbero, poi, cause legate alla natura del territorio (in particolare l’origine vulcanica) a determinare lo sforamento di alcuni parametri, come quello relativo al fluoruro. «Alcune acque imbottigliate presentano valori maggiori rispetto a quelli delle nostre acque di falda».

La bonifica
Edf si impegna ufficialmente a presentare, il 18 ottobre prossimo, il piano di bonifica per l’area in questione. Ovvero il progetto per ripulire definitivamente le acque del sottosuolo dai veleni rilasciati, per il ripristino ambientale del sito.

Le responsabilità penali
Fenice non si autodenunciò per il pesante inquinamento provocato, entro il limite temporale previsto da legge. Sulla questa grave omissione indaga la Procura di Potenza. Ma nel frattempo i vertici della società non intendono chiarire la questione. «Riguarda la precedente gestione – precisa l’attuale Ad – E poi le indagini in corso da parte della Procura non ci consentono di fornire ulteriori elementi».

I monitoraggi
«Abbiamo sempre effettuato i monitoraggi previsti e soprattutto i risultati delle analisi delle acque sono stati sempre trasferiti agli organi competenti, quindi all’Arpa Basilicata, ma anche alle istituzioni, quindi Comune, Provincia, Regione e anche ministero dell’Ambiente, a partire dal 2002». Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera dei forni «sono monitorate in continuo per tutti i parametri previsti da legge». L’impianto, inoltre, «è provvisto di un sistema di blocco in automatico, ogni qual volta viene riscontrato un valore fuori norma. Cosa che però, fino a questo momento, non è mai accaduta. I campionamenti vengono puntualmente trasferiti all’Arpab». Le autorizzazioni
Fenice faceva richiesta di Autorizzazione d’impatto ambientale già nel 2006. L’Aia, però, non è ancora arrivata. «E francamente non ne comprendiamo i motivi, commentano i vertici Fenice». Nel frattempo il termovalorizzatore ha lavorato con una autorizzazione “provvisoria” scaduta nel 2010 e prorogata dalla Provincia, fino al 2020.

Mariateresa Labanca

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