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LUNGA e dettagliatissima, quasi una lezione di ingegneria idraulica, la relazione che ieri il presidente della Regione De Filippo ha reso al Consiglio regionale sull’ipotesi di raddoppio della condotta idrica del Sinni. In pratica alla Puglia sono stati già stanziati 180 milioni di euro per realizzarla, anche se il progetto, come ha sottolineato lo stesso governatore, è ancora molto aleatorio. Ma certo ai lucani non farà piacere che, nonostante un accordo di programma datato 1999 tra le due regioni, la giunta di Nichi Vendola a un bel momento decide di realizzare un’opera così mastodontica senza nemmeno informare chi quel territorio lo governa. D’altra parte questo accordo andrebbe rivisto dal momento che la nuova legislazione prevede la divisione della nazione in distretti idrici e che dunque la Puglia ha molti più margini di discrezione di una volta nel prendere iniziative. Insomma, la materia è complessa. Fa sensazione che una regione intervenga sull’altra vicina senza nemmeno comunicare, specie se quella stessa regione deve alla Basilicata decine di milioni di euro per tutti i metri cubi di acqua che giornalmente (e da anni) le fornisce. Ecco perché il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità una mozione che impegna la Giunta «a chiedere al Governo di riaprire immediatamente un tavolo nazionale che riconsideri lo stato della regolazione nella gestione delle risorse idriche, superando una troppo lunga fase di transizione cosicché le proficue relazioni intrattenute fra Puglia e Basilicata possano essere definite in un quadro di reciproche compatibilità».
Prima di andare allo scontro – questo l’intento del presidente – meglio proseguire la via del dialogo interrotto. In ogni caso in no al raddoppio si sente chiaro e forte, tanto per iniziare a intendersi: «Per queste ragioni – è scritto – ogni pretesa di implementazione dei flussi, anche mediante la realizzazione di nuovi vettori per il trasferimento della risorsa idrica lucana, prefigurata dal progetto del “raddoppio della canna del Sinni”, non può essere condivisa sia per conclamate e accertate ragioni di sostenibilità tecnica e ambientale (non c’è acqua a sufficienza, ndr), sia per il persistere di un quadro tuttora transitivo che va tuttavia definito dentro un’aggiornata formulazione dell’Accordo di Programma». Il Consiglio ritiene inoltre che si debba procedere alla puntuale ricognizione della quantità di risorse idriche effettivamente disponibili nonché da un bilancio del loro impiego complessivo. Ancora una volta, così come per Fenice, a sollevare il problema era stato il capogruppo del Pdl Nicola Pagliuca, che nella sua relazione ha spiegato molto di quanto poi sarebbe stato recepito nel documento finale. Il non detto è che un appalto da 180 milioni di euro, in terra lucana, è di certo veicolo di interessi di parte che, però, non saranno condivisi con i lucani. Un po’ come dire: si viene a fare affari qui, con il nostro territorio, senza coinvolgerci. Nulla di più facile, a questo punto, che dal braccio di ferro si passi presto o tardi ad un accordo. Per il momento «sull’incerta definizione del progetto del raddoppio della canna del Sinni – ha detto tra le altre cose De Filippo – bisogna essere chiari. La proposta se c’è appare confusa, frettolosamente immessa nella discussione pubblica, con motivazioni che non fanno onore, direi, a una storia di relazioni, di progettazione e di accordi che in questi anni hanno caratterizzato la gestione della risorsa idrica fra Puglia e Basilicata». Chi ha orecchie per intendere, nella vicina Puglia, intenda.
(raq)
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