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«Facevo finta, ma avevo capito che c’entravano loro» ha raccontato Denise, che era al corrente dal primo momento della scomparsa della madre, l’ex testimone di giustizia Lea Garofalo, svanita nel nulla nel novembre 2009 e probabilmente uccisa e sciolta nell’acido.
La figlia, Denise Cosco, sospettava della colpevolezza del padre e degli zii, contro i quali si è costituita parte civile nel processo per l’omicidio della donna. Davanti alla Corte d’Assise di Milano ieri, la deposizione della 19enne, che vive in una località segreta, sottoposta a un programma di protezione.
Dietro un paravento che la riparava da occhi indiscreti, incalzata dal pm Marcello Tatangelo, Denise ha ripercorso con determinazione la sua storia e quella della madre, entrambe testimoni di giustizia, insofferenti al codice della ‘ndrangheta che impone omertà, e “tradite” dai rispettivi compagni che le attirarono in una trappola (uno degli imputati è l’ex della ragazza).
«Ho passato un anno con mio padre e i suoi fratelli, pur sapendo che avevano fatto sparire mia madre. Ho fatto finta di niente, lavorato nella loro pizzeria, mangiato con loro, giocato coi loro bambini». Ma perché fingeva, ha chiesto il pm? «Dovevo fare la sua stessa fine?», ha detto la ragazza. Del padre Denise ha detto di sospettare per il suo comportamento. Perché dopo la scomparsa non appariva preoccupato. Il padre, del resto, tentò di acquisire una copia delle dichiarazioni rese dalla ragazza agli inquirenti.
La madre, secondo Denise, a un certo punto «Si sente lasciata sola dalle istituzioni, pensa che non serva più a niente» e, dopo trasferimenti, riavvicinamenti e violenti litigi, nel novembre 2009 decide di tornare in Calabria, ma prima vuole rivedere il padre di sua figlia, a Milano: «A mia madre pesava non poter lavorare, diceva sempre che è il lavoro a dare la dignità, e, a differenza mia, non si è mai inserita socialmente nelle città in cui andavamo». Denise ha ricostruito poi il momento più nero, quando il padre, che la lasciò dai fratelli per trascorrere qualche ora con la ex compagna, andò a riprenderla in auto senza la mamma. «Disse che avevano litigato, che lei aveva chiesto dei soldi, cambiò versioni. Con lui la cercai fino a notte, andai dai carabinieri per denunciare la scomparsa ma mi spiegarono che dovevo aspettare 48 ore, poi andai a dormire, non c’era più niente da fare». Il pm le ha chiesto pure perchè mandò tanti sms sul cellulare della mamma che era spento: «Mi volevo autoconvincere che non l’avevano fatta sparire, anche se sapevo che non c’era più niente da fare».

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