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LA loro colpa è di aver taciuto, e in alcuni casi di aver coperto. All’indomani della sconvolgente rivelazione che data l’inizio del disastro ambientale provocato da Fenice al 2002 (e non la 2008 come si pensava fino a questo momento), il verdetto è scontato, se non d’obbligo. E si basa su dati inconfutabili. Quelli rimasti nascosti per anni, e finalmente diffusi dall’Agenzia regionale per l’ambiente, che testimoniano la presenza di veleni nelle acque del sottosuolo circostanti l’inceneritore di San Nicola di Melfi, già dal gennaio di nove anni e mezzo fa. In quantità mostruose e in aumento di mese in mese. Eppure, la Procura (prima quella di Melfi e ora quella di Potenza), dopo quasi tre anni di lavoro, non è riuscita ancora a fare chiarezza su questa terribile e raccapricciante vicenda.
Fatta, evidentemente, di colpevoli silenzi e mancate assunzioni di responsabilità. Ieri il presidente De Filippo e l’assessore Mancusi hanno annunciato una commissione d’inchiesta. Troppo tardi rispetto alla gravità della situazione, di cui le istituzioni non potevano non sapere, o in cui, nel migliore dei casi, non hanno fatto tutto quello che dovevano. Se si prova a ritornare indietro nel tempo, ripercorrendo le principali tappe della storia, la vicenda appare grottesca. Se non fosse che in gioco c’è la salute del territorio, e soprattutto dei suoi cittadini, per tutti questi anni inconsapevoli di convivere con una bomba pronta a esplodere. In primo luogo il dipartimento Ambiente della Regione deve spiegare se era a conoscenza di quei dati. L’Arpab è tenuta a inviare i risultati dei monitoraggi ambientali agli uffici di via Anzio. Due sono i casi: o l’Agenzia non ha trasferito i dati e la Regione è responsabile per non averli richiesti e di non aver verificato le attività della sua costola; oppure quei dati sono stati inviati ma qualcuno è stato distratto o interessato a non farli venire fuori. C’è poi una questione di responsabilità politiche. La credibilità dell’Arpa Basilicata viene minata già del 2009. E’ allora che si viene finalmente a sapere che Fenice sta inquinando. E’ marzo, e l’allora sindaco di Melfi adotta subito una delibera che vieta l’utilizzo dell’acqua da emungimento nell’area interessata. Ma l’inquinamento va avanti già da un anno e mezzo. L’Arpab lo sa, ma non dice niente. Il dirigente dell’Agenzia, Bruno Bove, se lo lascia scappare in un’intervista rilasciata al Tgr Basilicata. Sigillito conferma, e in un’intervista rilasciata al Quotidiano dichiarerà di non aver ritenuto opportuno informare per non creare allarmismi. Aggiungendo che in fondo non è compito dell’Arpab darne comunicazione in maniera tempestiva. Un fatto grave, giustificato con una dichiarazione in palese contraddizione con la stessa mission dell’agenzia. La notizia è una bomba. Una parte della società civile si mobilita e chiede la testa del direttore. La politica, invece, tace. Lascia Sigillito al suo posto fino al 2010. Giusto il tempo di allargare il buco nelle casse dell’ente che successivamente sarà quantificato in quattro milioni di euro, e di rinnovare i contratti interinali dei “segnalati” dalla politica. Sigillito esce dalla porta dell’Arpab e rientra da quella della Regione, dove tutt’ora è dirigente della Struttura di progetto dell’Autorità ambientale. Nel frattempo scoppia il giallo. Sigillito dichiara che non ci sono dati ufficiali dei monitoraggi effettuati tra il 2002 e il 2007, perché «i rapporti di prova non firmati dal responsabile dell’ufficio Risorse idriche». Alla luce di quanto sappiamo oggi dobbiamo concludere che ci fossero motivi ben precisi per tenerli nascosti.
Le dichiarazioni che l’ex direttore riporta anche in terza commissione regionale sono gravi.
L’allora presidente Franco Mollica non ne fa mistero. E aggiunge che per quanto è emersa sarebbe il caso di iniziare a valutare la possibilità di chiudere l’impianto. Ma Erminio Restaino – assessore all’Ambiente nel 2005, quando Sigillito era presidente della commissione regionale per la tutela del paesaggio, con cui condivide un autista passato dalla Regione all’Arpab, oltre a un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio – prende ufficialmente le difese del direttore. In un comunicato stampa del novembre 2009 dichiarerà: «L’audizione in terza commissione dimostra come l’Arpab abbia intrapreso un percorso virtuoso. Bene ha fatto Sigillito a denunciare anche alle autorità giudiziarie l’assenza di dati ufficiali relativamente al periodo 2002-2006».
Paradossali anche le dichiarazioni del dirigente Arpab, Bruno Bove.
Sul caso dei dati scomparsi, in una recente intervista rilasciata al giornale on line “Stato quotidiano”, dopo aver precisato di essere entrato all’Arpa solo nel 2007, dirà: «I dati, come tutti gli altri, sono qui, presso la sede potentina dell’Arpa. Ho ritenuto di non diffonderli perché assunti dalla Procura e perché in corso un’indagine. Non mi prendo la responsabilità di azioni di cui non conosco le ripercussioni. Se mi danno l’autorizzazione a diffonderle, le diffondo».
Per arrivare alla conquista dei dati trasparenti pubblicati sul sito dell’Agenzia bisognerà attendere il marzo 2011 e l’arrivo del nuovo direttore Vita.
Ma c’è una riflessione che va fatta: se Sigillito, anche se in un altro ufficio, continua a occuparsi di Ambiente nella pubblica amministrazione, e se i dirigenti Arpab che non hanno ben compreso quale sia il ruolo dell’Agenzia restano al loro posto, chi dà certezza ai cittadini sulla tutela del territorio e la salute pubblica. E se la politica non si assume la responsabilità di rimuovere chi sbaglia, di biasimare gli errori, e tutelare i cittadini prima di tutto, quale credibilità possono avere le rassicurazioni sulle tante emergenze ambientali del territorio? Alla luce di tutto questo, come suonano oggi le parole dell’assessore all’Ambiente, Agatino Mancusi, che invita chi solleva le problematiche relative alle qualità delle acque della diga del Pertusillo a non lasciarsi andare a reazioni emotive?
Il caso Fenice mette in crisi un sistema. «Sono basito – commenta a caldo l’ex primo cittadino di Melfi, Ernesto Navazio – Eravamo seduti su una polveriera e nessuno si è preso la briga di farcelo sapere. Quell’ordinanza del 2009 sarebbe potuta arrivare prima, avremmo potuto fare qualcosa per tutelare la salute de cittadini»
Errori frutto solo di superficialità e incompetenza? La Procura di Potenza non dovrebbe più indugiare, fornendo risposte al più presto.

Mariateresa Labanca

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