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di LUCIA SERINO
POTENZA – E’ una chiesa fuori controllo quella che il vescovo di Potenza trova dopo la morte di don Mimì. Una chiesa che probabilmente neppure più l’anziano parroco, nome potente della borghesia potentina, riusciva a gestire negli ultimi anni della sua vita. Cosa veramente sapeva Sabia? E’ possibile immaginare che ci fossero segreti a lui ignoti? E chi erano quelli che si erano infilati nella quotidianità della chiesa? Nei silenzi di una città che sicuramente è in grado di ricostruire fatti, tempi e persone, significativo e anche inquietante è il racconto ufficiale che ne fa monsignor Agostino Superbo ai pm del caso Claps. E ‘il 20 marzo 2010, le nove di sera passate. La mattina Superbo era già stato dal questore Panico, aveva cercato inutilmente il capo della squadra mobile, Barbara Strappato. I pubblici ministeri vengono a Potenza. Lo sentono. E’ il primo verbale che firma, altri due ne seguiranno. Siamo tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere nel sottotetto. «Era una presenza forte don Mimì», sottolinea subito il vescovo, prima di ricostruire momento per momento le fasi del ritrovamento del corpo di Elisa (e che potete leggere integralmente nel verbale che pubblichiamo) così come lui le aveva apprese.
Un parroco burbero che non tollerava intromissioni, solitario, anche chiacchierato, ma al tempo stesso un vecchio sacerdote di cui chiunque, alla fine dei suoi giorni, avrebbe potuto approfittare. Da dove ripartire dopo la sua morte? La chiesa sfuggiva al controllo pastorale del vescovo ed è per questo che, scomparso don Mimì, fu nominato «un sacerdote di mia fiducia a nome di don Joel per alcuni mesi e successivamente don Ambrogio quale parroco e don Wagno quale viceparroco». Eppure la Trinità era centrale negli equilibri ecclesiastici. Una chiesa ricca oltre che potente. Tanto che per effettuare lavori di ristrutturazione ne fu venduta una proprietà.
«Per don Ambrogio – racconta il vescovo – l’aspetto più faticoso è stato riappropriarsi delle chiavi dei vari locali della chiesa e anche delle cassette dell’elemosina in quanto tali chiavi erano in possesso di varie persone e in sostanza di appropriarsi della gestione anche economica della Chiesa». Gestione che sfuggiva persino all’economo don Pasquale Zuardi.
Don Mimì non parlava molto con il vescovo. Avevano rapporti formali, nessuna confidenza. Si fece forza don Mimì e si rivolse con insistenza al vescovo solo quando sequestrarono locali sottostanti la Trinità per accertamenti giudiziari. Cercavano il corpo di Elisa. Quei locali gli servivano per la catechesi. «Lì non c’è niente, che devono cercare», disse seccato don Mimì. Il vescovo ne parlò allora con il prefetto: «Non so se poi effettivamente il prefetto intervenne – racconta Superbo – quei locali comunque furono dissequestrati». A posteriori ha avuto ragione.
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