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Il boss Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (CROTONE) – Alla fine si farà a Potenza, il prossimo 21 settembre, l’udienza preliminare a carico di 66 imputati accusati di far parte di una presunta associazione a delinquere transnazionale, finalizzata alla raccolta dei proventi illeciti del gioco illegale on line attraverso strumenti informatici e telematici, facente capo al super boss di Cutro Nicolino Grande Aracri e ad esponenti del clan lucano Martorano-Stefanutti.

Dopo oltre due anni, la Corte di Cassazione risolve il conflitto di competenza sollevato dal gup di Bologna sul mega procedimento. Il gup di Potenza, nel marzo 2018, si era, infatti, dichiarato incompetente territorialmente nei confronti di imputati – in gran parte lucani, ma ci sono anche molti calabresi nonché pugliesi e siciliani – che devono rispondere, anche, della distribuzione a negozianti e titolari di bar e altri locali pubblici in tutt’Italia di slot e totem privi delle concessioni dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato (Aams) su cui veniva installato un software funzionante tramite collegamento al sito greco www.eurobyte.gr i cui dati erano immagazzinati sul server di una società olandese.

Il gup aveva accolto un’eccezione difensiva secondo cui la competenza è della Dda di Bologna poiché la presunta holding criminale avrebbe incamerato profitti derivanti dalla gestione degli apparati elettronici prodotti da Sio srl, gruppo di Reggio Emilia capeggiato da Dominique Scarfone (deceduto), dotati del software realizzato da Playtime, gruppo siciliano. La gestione contabile di ogni apparato era, invece, garantita da un software sul sito playnone.com collocato su server di una società statunitense, con sede nello Utah, con un meccanismo di accesso realizzato da hacker, italiani ed europei, che potevano anche disattivarlo da un controllo remoto, per eludere i controlli delle forze dell’ordine e cancellare la cronologia delle operazioni.

Furono 19 le misure cautelari (undici in carcere) scattate nel 2017, ma gli indagati erano 200, 66 dei quali hanno poi acquisito lo status di imputati a conclusione della mega indagine del Reparto operativo dei carabinieri di Potenza con il coordinamento, oltre che della Procura lucana, anche delle Dda di Catanzaro e Bologna. Dopo che alla Dda di Bologna erano state trasmesse le carte dal gup di Potenza, il procedimento era regredito alla fase delle indagini preliminari.

Il punto di partenza, si ricorderà, sono state le attività illecite del “locale” di ’ndrangheta di Cutro e i collegamenti con il clan lucano Martorano-Stefanutti che avrebbero avuto agganci in tutto il Paese per ripulire un’enorme massa di denaro sporco; un affare di quasi 600 milioni di euro all’anno. Anche di questo si parlava nell’ormai famigerata tavernetta del super boss Grande Aracri, dove tra il 2012 e il 2013 sfilò mezza Italia. Gli incontri erano anche con i sodali lucani per l’affare delle macchinette mangiasoldi, tant’è che Grande Aracri è ritenuto uno dei capo della presunta associazione a delinquere transnazionale. I carabinieri di Potenza non l’arrestarono essendo già detenuto per altro al 41 bis.

Gli arresti domiciliari, invece, scattarono per due del suo entourage, il cognato Francesco Mauro, 54 anni, di Petilia Policastro, con precedenti per gestione di giochi d’azzardo, e Salvatore Gerace, di 48, di Cutro. Erano in tutto 200 gli esercizi sequestrati con videogiochi e slot in tutt’Italia, riconducibili all’organizzazione criminale attiva in Basilicata e nelle province di Crotone e Reggio Emilia, meta dell’esodo di migliaia di cutresi emigrati.

Un’inchiesta, quella legata all’operazione ‘Ndrangames, balzata all’attenzione delle cronache anche in seguito all’allarme lanciato dalla Dia che segnalava, nel Crotonese, un aumento del 500 per cento delle imprese del settore del gaming, pari a cinque volte la media nazionale. Un settore pesantemente infiltrato dalle cosche.

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