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Caro Paride, ti scrivo da un internet point di Sala Consilina. Ieri, intorno alle undici di mattina, mia madre mi ha telefonato a Roma, e mi ha comunicato che
mio padre era stato arrestato (fermo di pg, per la precisione).
Me lo ha passato, e lui me l’ha confermato con la voce scossa, ferita, ma anche lucida (nei momenti di difficoltà, mio padre è sempre stato lucido e calmo). I carabinieri lo hanno portato nel carcere di Sala Consilina, e io ho fatto in tempo – partendo immediatamente con l’auto – ad arrivare davanti al carcere nell’esatto momento nel quale arrivava lui scortato dai carabinieri.
Gli ho detto (gridandolo ad alta voce, e abbracciandolo con tutte le forze che avevo in corpo): “Sono orgoglioso di essere figlio di Di Consoli Vincenzo, un uomo, un operaio, un contadino che ha conosciuto l’emigrazione in Svizzera, la sofferenza dei cantieri, le umiliazioni del bisogno”.
Ora trascorrerò la notte qui a Sala Consilina, e non so per quanti giorni ancora sarò costretto ad aspettare prima che mio padre venga liberato.
Perché mio padre – e questo voglio dirlo con tutto il fiato che ho in corpo – non è stato arrestato perché ladro, mafioso, mariuolo, truffatore, assassino (non credo esista al mondo persona più onesta e semplice di mio padre), ma perché non ne poteva più di essere ignorato dagli impiegati del Parco del Pollino e dal Corpo Forestale dello Stato, che non prendevano a cuore (nonostante mille solleciti e mille umili richieste) il problema pluriennale dei cinghiali che gli devastano i poveri campi che coltiva, e quindi ieri mattina (esasperato, disperato) si è messo a minacciare con un coltello (a scopo dimostrativo) uno di questi impiegati, e ha perso la ragione, e quindi è stato fermato.
Io so bene che queste cose non si fanno per nessuna ragione al mondo, e so bene che la legge va rispettata, e quindi mio padre paga con il carcere un grave errore che ha commesso, e su questo non discuto, né mai discuterò, perché conosco e rispetto la legge, e anche la magistratura, che deve fare in autonomia e serenità il suo lavoro (nei prossimi giorni, ovviamente, capirò meglio quel che è accaduto a Rotonda ieri mattina). Ma mio padre è una persona umile e onesta che ha fatto quello che ha fatto spinto dal bisogno, dalla disperazione, dall’umiliazione di non veder accolti i suoi bisogni, le sue richieste d’aiuto, il suo desiderio di rimanere, nonostante tutto, in Lucania, nella sua piccola terra coltivata con sacrifici immani.
Che sia chiaro, caro Paride, che sia chiaro a tutti quelli che in queste ore si danno di gomito soddisfatti: io sono orgoglioso di mio padre; anzi, non sono mai stato tanto orgoglioso di lui come in questo momento. Perché so quanto il suo gesto, nei fati, sia disarmato, e quanto sia invece dettato da esasperazione e umiliazione, e da orgoglio, quell’orgoglio che manca ai tanti vigliacchi che in questo preciso momento stanno esultando perché sono in difficoltà (ma, come vedi, ancora una volta non ho niente da nascondere).
Mio padre, da uomo dignitoso quale è, paga con il carcere (e in silenzio) un grave errore che ha fatto, ma io non ho paura di domandarmi se in questo momento altri si vergognano almeno un poco di aver ridotto (per anni) un uomo in quelle condizioni, e di aver fatto in modo che finisse in gattabuia. E so che sono migliaia i contadini che capiscono il suo gesto (pur, magari, non giustificandolo); e quindi chiedo loro di farsi sentire, ma non come ha fatto mio padre, ma pacificamente, a mani nude, perché se si compie l’errore di mio padre si fa solo un grande regalo al potere, la cui indifferenza verso il bisogno e la disperazione è grave almeno quanto il gesto di mio padre, che io censuro, ma le cui motivazioni mi commuovono, e mi rendono orgoglioso di essere figlio di un uomo che a un certo punto ha avuto il coraggio di dire “basta”, e quindi paga personalmente l’urgenza impellente di fare qualcosa, di spezzare la paura e la rassegnazione che divorano questi piccoli paesi rurali del Pollino, dove tutti ripetono biascicando “da qui ce ne dobbiamo solo scappare, questa è una terra maledetta”.
Oggi saranno felici quelli che ingrassano sulla rassegnazione degli umili, perché diranno che Di Consoli è solo uno che aizza il popolo, e che le cose, invece, si debbono risolvere con pacatezza, con la burocrazia, fidandosi di una classe dirigente che ti fuma in faccia con il sigaro (cosa che è capitata a me all’interno dell’Ente Parco), e che si nasconde dietro le leggi anche quando sei in lacrime, e ripeti per anni vanamente “aiutatemi, aiutatemi, per favore aiutatemi”.
Io dico a tutti i contadini del Parco di lottare, di non disperdere al vento il sacrificio di mio padre, ma di lottare non con i mezzi che ha usato mio padre (che non servono a niente, e fanno male, soprattutto a chi li compie); mio padre che, purtroppo, in queste ore è gettato in una cella di prigione e sta perdendo le coordinate della sua vita onesta e semplice.
Quando ho visto mio padre varcare le porte del carcere, caro Paride, le lacrime me le sono ingoiate come s’ingoiano i sassi, ma mi sono anche chiesto perché proprio quel piccolo contadino che parla con gli animali (al quale ho dedicato il romanzo per me più doloroso, “Il padre degli animali”) fosse lì, in quella casa di fango, dove vanno a marcire i delinquenti e i mariuoli.
Perché mio padre non è un delinquente, ma l’hanno fatto diventare un brigante.
E non chiedeva soldi, prebende o risarcimenti economici, bada bene, ma solo che qualcuno prendesse a cuore il suo problema, il problema dei cinghiali che da troppo tempo gli devastano i campi coltivati, e che gli permettono di sopravvivere (male) con dignità.
Mio padre ha sbagliato e sta pagando duramente.
Io però dico che sono altri a doversi vergognare.
Speriamo che il sacrificio di mio padre possa servire a risolvere il problema dei cignali (è da giorni che noi tutti ne parliamo sui giornali). E affido a te, per la profonda fraternità che ci lega, un sentimento immortale di orgoglio per mio padre (mi auguro solo che non soffra troppo, così distante dai suoi animali e dalla sua terra, e da mia madre, con la quale vive da più di quarant’anni).
Caro Paride, ti ringrazio per l’amicizia che mi doni in uno dei momenti più difficili della mia vita.
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