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«Tutto quello che questa nostra concittadina vi ha raccontato, tutto ciò che sulla vicenda è uscito sui giornali italiani è semplicemente falso» dicono dalla Nigeria, dove vengono sollevati forti dubbi sul caso di Kate Omoregbe, la trentaquattrenne nigeriana a cui mercoledì l’Italia – grazie alla campagna avviata dal movimento Diritti civili di Franco Corbelli – ha concesso l’asilo politico perché avrebbe rischiato la lapidazione se fosse rientrata in patria. La posizione del Paese africano – dal quale nel 2000 Kate è fuggita dopo aver subito violenza da un uomo anziano impostole come marito e l’imposizione di convertirsi alla religione islamica – è stata ufficializzata da Reuben Abati, portavoce unico del presidente nigeriano, Goodluck Jonathan.
«Il nostro è uno Stato laico, non è né cattolico né tanto meno islamico, la nostra Costituzione garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, impedisce che chiunque sia discriminato in base al credo religioso, all’appartenenza etnica» ha assicurato Abati, non celando il fastidio del governo di Abuja per l’immagine negativa: «In Nigeria ti sposi se ami qualcuno, altrimenti nessuno ti torce un capello, né per consuetudini, né, figuriamoci, per legge». Il portavoce nigeriano ha spiegato che l’ambasciata a Roma ha scritto al governo italiano per denunciare «la falsità delle dichiarazioni» di Kate. «Ma come è possibile – si è chiesto – che i nostri rappresentanti accreditati presso la vostra Repubblica siano creduti meno di una trafficante di droga condannata da un vostro stesso tribunale?».
Dubbi sulla storia di Kate arrivano anche da ambienti cattolici. John O. Onayekan, arcivescovo di Abuja, già presidente del Can, l’associazione che rappresenta i cristiani di ogni confessione della Nigeria, ha ricordato che «nella storia di questo giovane Stato mai nessuno è stato lapidato». «Persino il caso di Amina era tutta una montatura», ha affermato. «La Nigeria», ha aggiunto, «non ha nessuna tradizione di matrimoni forzati, tanto meno nella zona di origine» di Kate, lo stato meridionale di Edo, di cultura cattolica. Il vescovo ha messo in guardia dai rischi che possono arrivare dallo strumentalizzare vicende del genere: «L’Islam africano è di norma moderato e tollerante. Sul caso abbiamo letto dichiarazioni e articoli di presunte conversioni forzate e lapidazioni, ipotesi prive di fondamento ovviamente, ma che potrebbero nuocere agli sforzi che noi e il clero musulmano facciamo ogni giorno per isolare e condannare le minoranze estremiste di entrambe le parti».
Il segretario esecutivo della moschea nazionale di Abuja, Ibrahim Jega, si è detto allibito di questa storia, che non è mai approdata sui media nigeriani: «La signorina – assicura – non avrebbe rischiato proprio nulla neppure nei luoghi in cui la Sharia è applicata alla lettera e non è affatto il caso dei pochi stati confederali della Nigeria che l’hanno adottata». «Secondo il Coran – ha concluso Jega – se una cristiana o un’ebrea vuole sposare un musulmano può farlo liberamente, senza rinunciare alla sua religione di partenza».
LA REPLICA DI CORBELLI: “IO LE CREDO”
Ma a prendere le difese della giovane nigeriana è ancora una volta Franco Corbelli che voluto subito replicare a tali dichiarazioni del portavoce del presidente della Nigeria: «Kate ha detto la verità, per questo ha avuto, dopo due giorni di interrogatori e di verifiche al Cie di Roma, la protezione umanitaria. È falso e ignobile affermare il contrario».
In effetti Kate Omoregbe, dal momento in cui ha chiesto aiuto al leader del movimento Diritti civili, non ha mai detto di essere stata condannata alla lapidazione per una legge dello Stato, ma una pratica sociale che risulta ancora in uso in molti stati africani, tra i quali proprio la Nigeria, Paese a forte cultura islamica (specialmente nel Nord, dove tra 2000 e 2001è stata reintrodotta la Sharia come codice penale, nonostante tali norme siano in conflitto con la Costituzione nigeriana e dove negli ultimi anni sono stati impediti alcuni casi di lapidazione, come quello di Amina Lawal che venne condannata alla lapidazione per essere rimasta incinta fuori dal matrimonio, grazie a mobilitazioni internazionali simili a quella messa in piedi da Corbelli).
«Sfido il governo della Nigeria – ha detto il leader di Diritti civili – a portare davanti alle telecamere della televisione della Nigera la famiglia e il violentatore (e mancato sposo) di questa ragazza per dimostrare che la storia non è vera».
«Ho sempre detto che la ragazza non era stata condannata da nessun tribunale ma da regole non scritte del suo Paese, come mi ha descritto Kate stessa nella missiva che mi ha mandato dal carcere. Credo a Kate. Sulla base di quali informazioni il portavoce del presidente della Nigeria dichiara che è tutto falso? Kate, come mi ha scritto nella lettera, chiedeva di essere salvata perché, per essersi rifiutata di sposare una persona (un musulmano) molto più grande di lei che l’aveva anche violentata e per non convertirsi alla religione islamica, lei che è cattolica, era di fatto, se ritornava in Nigeria, condannata ad essere sfregiata con l’acido e ad essere uccisa. Il portavoce del presidente della Nigeria sulla base di quale indagine espletata può dichiarare che Kate ha detto il falso? Quella ragazza ha detto la verità. È falso chi dichiara il contrario, solo per difendere l’immagine del suo Paese».
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