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di SALVATORE BUFANIO
COMPRENDERE le leggi del marketing non è facile. Comprendere quelle di Abercrombie & Fitch risulta impossibile. Le scelte adottate dall’azienda negli ultimi anni, infatti, hanno lasciato a bocca aperta, soprattutto per la loro incoerenza. Adesso nel mirino sono finiti i protagonisti di Jersey Shore, otto italo-americani seguiti dalle telecamere di Mtv durante le loro vacanze estive. La loro vita, trasmessa sul piccolo schermo, ha appassionato milioni di telespettatori, ma ha anche scatenato polemiche. Negli Usa, ad esempio, gli italoamericani sono infuriati per l’immagine di “coatti, narcisi e abbronzati” che viene diffusa dallo show e hanno fatto sapere che non tollerano più i «vecchi stereotipi volgari sugli italoamericani». A gran voce è stato chiesto anche ad Mtv di ritirare la trasmissione, ma l’emittente non ha voluto saperne: «Gli spettatori scopriranno personaggi in situazioni sorprendenti, le loro amicizie e i loro drammi. Vedranno che in questi ragazzi c’è molto di più del loro gel per i capelli». Le polemiche però hanno aiutato lo show a guadagnare sempre maggiore successo ed ha permesso ai protagonisti di diventare delle star da imitare. E’ il caso di Mike Sorrentino che, dal momento di messa in onda del reality, ha guadagnato più di cinque milioni di dollari. In America Sorrentino incarna il modello più recente dell’italoamericano verace. Le discriminazioni e le offese verso di lui e verso gli italoamericani però hanno seguito di pari passo il successo dello show. Nello slang della grande mela quando si dice “Guido”, si vuole indicare proprio il tamarro italoamericano, con i capelli brillantinati, con la camicia aperta fino all’ombelico per mettere in mostra pettorali e addominali scolpiti. Proprio “Guido” e “Guidette” (per le ragazze che esagerano con il trucco) sono i protagonisti e le protagoniste di Jersey Shore, che in origine erano termini dispregiativi per indicare gli italoamericani di bassa estrazione sociale e che oggi stanno ad indicare i giovani dediti a sbronze, palestra e lampade abbronzanti. Ma degli slang discriminatori Mike se se ne frega e pensa solo agli affari. Nel suo libro: “Here’s The Situation” dispensa consigli su come curare il fisico e il proprio modo di vestire. Un manuale di stile contenente perle di saggezza come questa: “se la tua camicia fa schifo, anche quanto c’è dentro farà la stessa impressione”. A quelli di A&F, molto probabilmente, non devono essere piaciuti i consigli di Mike, tanto da offrirgli una cifra imprecisata affinchè non indossi mai più nulla del famoso marchio. Un messaggio chiaro per chiarire quanto sia chic e selezionata la loro clientela. Una strategia di marketing che appare non in linea con quelle adottate precedentemente e con le discutibili politiche adottate negli ultimi anni. A Milano, l’inaugurazione del primo store italiano (2009) suscitò curiosità e accese polemiche, soprattutto per la scelta di assumere come commessi solo modelli alti, palestrati e molto curati. A torso nudo presenziavano all’ingresso dello store indossando solo un paio di jeans per promuovere la nuova collezione. Incuranti della temperatura milanese di fine ottobre, i giovani invitavano la clientela ad entrare nel megastore di 3000 metri quadrati su 4 piani in cui la musica sparata a tutto volume annientava il dialogo. La gente si avvicinava, li fotografava e poi andava via. In pochi entravano, poiché non si era liberi di girare nel negozio se non seguiti a vista da un addetto alla sicurezza. L’allarme furti in Italia doveva essere particolarmente elevato. All’interno anche il reparto di abbigliamento per bambini. Sugli stessi scaffali ancora oggi si può trovare il reggiseno imbottito per bimbe di otto anni, lanciato sul mercato proprio da A&F. Una scelta che suscitò l’indignazione dei genitori di mezzo mondo. Vendere a tutti i costi, anche se questo significa mettere da parte l’etica e il buon senso. E’ prevalso il cattivo gusto e la volgarità. Nonostante questo, l’azienda vuole ricordare al mondo che tiene molto alla propria immagine e punta su una clientela sofisticata. Vuole evitare come la peste gli italiani chiassosi dai muscoli possenti. Per questo si evita Mike che con la cura spasmodica della sua immagine non aiuta la buona reputazione dell’azienda, ma si assumono solo commessi, selezionati in base alla loro prestanza fisica. Anche collegandosi al sito internet per effettuare acquisti online ci si può rendere conto di quanto A&F metta in bella mostra muscoli, addominali e tutto quello che esalti la cultura del fisico scolpito, la stessa promossa da Mike. Quello che dovrebbe essere il problema minore però preoccupa maggiormente l’azienda che non perde tempo e invita Mike Sorrentino tramite un comunicato a non indossare più gli abiti marcati Abercrombie & Fitch: “crediamo che associare il suo nome al nostro marchio vada contro l’immagine di A&F e potrebbe non essere cosa gradita a chi acquista i nostri vestiti”. All’indomani però il marchio è crollato a Wall Street, perdendo oltre il 9 per cento. Secondo i maligni è proprio tale divieto il motivo del crollo. Persino la Cnn si è chiesta se la caduta in Borsa fosse dovuta al caso Sorrentino. Può davvero il protagonista principale di un reality mettere in crisi un marchio solido? Anche se il tutto è avvenuto in un periodo nero per l’economia che non promette nulla di buono, nella vicenda ci sono altre spiegazioni che vanno oltre l’ignoranza di una società che valuta le persone in base alle apparenza e le etichetta ancora in base al loro modo di vestire, di comportarsi e di divertirsi. Dietro ci sono spiegazioni complesse, prima su tutte una crisi economica che investe tutti i settori e che di certo non risparmia una griffe di moda. Andando più a fondo si apprende che l’unico store italiano di Abercrombie & Fitch sta valutando di chiudere a causa degli elevati costi d’affitto e si appresta a trasferirsi nella capitale che, pare, risulti essere più economica della lussuosa e sofisticata Milano. Prende spazio anche l’ipotesi di una combine fra le due parti, un espediente pubblicitario insomma per far parlare di sé. Se fosse vero, l’espediente risulterebbe essere perfettamente riuscito.
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