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Ieri ha cessato di vivere Ciriaco Coscia. Piango l’amico fraterno; ma qui, solo succinte parole per ravvivare il ricordo del compagno di cinquant’anni di un percorso politico comune.
Ciriaco viene alla politica con una generazione intera di giovani studenti che nel ’68 intese rompere la pesante cappa di piombo del conformismo imperante a difesa di vuoti vecchi valori ed esauste gerarchie, anche qui in una lontana provincia dell’impero, come in America, in Francia, nel resto d’Italia.
La sua fu una scelta, che non fu maturata per convincimenti ideologici frutto di letture più o meno frettolose di testi alla moda sull’onda di un vento che sembrava voler stravolgere la sonnacchiosa società dell’epoca. Scelse di stare dalla parte degli “esclusi”, di quelli che i rapporti politico-sociali avevano lasciato ai margini. E fu una “scelta di vita”, a voler parafrasare Amendola; di quelle cioè che si fanno non per un momento contingente, ma perché modo di essere se stessi, compiutamente e per sempre.
Perché Ciriaco, a volerlo definire con un solo aggettivo, era “buono”; termine estraneo al lessico politico; disusato anche da quello comune. Ma non ne esiste, per me, un altro che fotografi meglio la sua intera esistenza: la solidarietà come valore fondante dell’impegno politico coniugata con la capacità di affetti profondi che hanno caratterizzato la sua personalità.
E con la generosità dei “buoni” fece della milizia politica con il PCI e dentro il PCI il centro della sua esistenza.
Oggi che la politica è “sporcata” da un ceto allevato nella logica della personale collocazione, far comprendere come sideralmente distante fosse, allora, il senso di un impegno “a tempo pieno” per la politica, appare un’impresa improba. E’ difficile far comprendere come tanti, prima di Ciriaco, ed anche dopo di lui, avessero potuto scegliere di buttare alle ortiche percorsi di studi, prospettive lavorative, ipotesi di un cantuccio “particulare” da ritagliarsi per accontentarsi di miseri stipendi (se non per ancor più miserabili rimborsi spese) e dedicare tutto se stessi, senza tregua né riposo ad un’ intensa attività a costruire democrazia di massa in giro anche per le più sperdute contrade della nostra provincia senza mai porre avanti “aspettative”. E’ impossibile senza far riferimento a quella forza interiore che veniva dal radicato convincimento di essere dalla parte giusta e dalla persuasione di camminare nel senso della storia verso l’edificazione di un mondo più giusto e più solidale.
E Ciriaco scelse presto: Segretario provinciale della FGCI; e poi responsabile di zona dell’Ufita del PCI; e poi ancora nel sindacato a dirigere i metalmeccanici della FIOM: eguale a se stesso delle passate più giovanili assemblee studentesche, delle occupazioni delle case a fianco dei senzatetto, dei picchettaggi assieme alla giovane classe operaia irpina che disvelava la truffa del paternalismo aziendale rivendicando contratti più equi… Sempre con lo stesso disarmante entusiasmo e lo stesso sorriso sul volto, immagine di un ottimismo di fondo che lo rendeva persino incapace di immaginare che potessimo perdere, che potessimo essere sconfitti…
Eppure fummo sconfitti, ci piace pensare più per errori di altri che perché le nostre scelte di fondo fossero sbagliate. E venne il tempo per cui la politica cominciò ad essere altro…
Ma Ciriaco aveva deciso di ri-cominciare, con lo stesso ottimismo di sempre. Aveva fatto diventare scelta personale la convinzione che era che era stata alla base di tante lotte della sinistra anche irpina, che, con il sostegno dello Stato a nuove idee, potesse nascere qui una leva di giovani imprenditori capaci di valorizzare le risorse e le energie umane locali, che questa potesse essere la strada per contrastare l’andata via dai nostri paesi delle forze giovanili migliori.
“Dedicato a Marianna”, una piccola e vivace azienda vinicola fu il parto del suo impegno e del suo rinnovato entusiasmo con il quale in altro modo ha immaginato di perseguire lo stesso antico obiettivo di dimostrare che “cambiare si può”.
Ciriaco resta se stesso anche quando è costretto a bere tutta l’amarezza di toccare con mano quanto improvvido sia uno Stato che ti consente di sognare di potercela fare da solo e ti lascia nudo di fronte alle regole stritolanti di un’ economia finanziarizzata che di margini ne lasciano ben pochi a chi del suo non ha capitali ed è costretto a dipendere dal credito e dalle sue logiche perverse.
Caparbio nel suo inattaccabile ottimismo, nessuna avversità lo sposta dalle sue convinzioni di fondo e dal lavoro politico nelle forme possibili. Sono gli anni dell’impegno Cna quale Presidente Provinciale, quale Coordinatore Regionale, quale membro del Consiglio di Amministrazione dell’Epasa nazionale, quale componente del Consiglio e della Giunta della Camera di Commercio. Sono gli anni della disillusione per il PD, per il ritrovato entusiasmo che “Articolo Uno” potesse essere il “luogo” di una nuova sinistra capace di farsi capire anche da generazioni del tutto estranee a quelle che era stata la nostra storia passata.
Ma sono anche anni di forti amarezze e delusioni, soprattutto umane, nello scoprire che il mondo che ti circonda, a cui appartieni, non è quello che ti sei immaginato.
E poi i giorni della malattia, vissuti con la stessa caparbia volontà di battersi sino all’ultimo istante, di affrontare le prove più inimmaginabili, senza lamenti, senza recriminazioni, senza perdere mai la speranza di farcela, sino all’ultimo giorno, trasferendo fiducia a chi a suo fianco, Tina e Chiara, così ricevevano più che dare speranza.
Questo, se ci sono riuscito a dirlo, è stato Ciriaco Coscia. Non ha mai immaginato di doversi proporre ad esempio. Lo è stato. E di questo io lo ringrazio.
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