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AVELLINO- L’Antimafia procede le indagini sul raid a colpi di kalashnikov contro le vetture delle abitazioni di Contrada San Eustachio della famiglia Genovese e le abitazioni di Antonio e Damiano Genovese. Il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Anna Frasca, il magistrato che conduce le indagini (al momento ancora a carico di ignoti ndr) ha disposto infatti degli esami sui reperti raccolti dai militari del Comando Provinciale dei Carabinieri di Avellino, in particolare i bossoli repertati. Ad eseguire gli accertamenti saranno i tecnici del Ris dei Carabinieri di Roma il prossimo due luglio. E l’Antimafia vuole capire in particolare se ci sono tracce biologiche sui bossoli repertati ma in particolare anche eseguire una comparazione per comprendere se si tratta di armi già utilizzate per altri reati e se effettivamente si tratta o meno di due raffiche di kalashnikov, quelle che sarebbero state esplose nella notte tra il 21 ed il 22 settembre scorso davanti all’abitazione dell’ex consigliere comunale Damiano Genovese, arrestato dai Carabinieri il giorno dopo per la detenzione di un’arma e di suo zio.

Una delle ipotesi investigative emerse nell’ambito dell’inchiesta sul Nuovo clan Partenio è proprio legata al fatto che l’ordine di colpire le vetture della famiglia Genovese nella notte tra il 21 e il 22 settembre scorso sarebbe arrivato da Mercogliano. E’ più che un’ipotesi investigativa, un sospetto che le stesse vittime del raid avrebbero espresso in almeno due circostanze. Si tratta di quanto emerso in particolare nelle duecentodieci pagine della nota informativa depositata il ventisei ottobre dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino e finita ufficialmente davanti ai magistrati del Tribunale del Riesame di Napoli nel corso di una delle udienze alk Riesame sul clan, depositata dal magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia Simona Rossi.

Sono gli elementi a cui i militari del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino grazie alle intercettazioni telematiche sul cellulare di Damiano Genovese (sotto inchiesta nel filone sulle aste ndr) ed in particolare su un colloquio avvenuto all’interno del carcere di Parma tra il boss Amedeo Genovese e un suo familiare il 30 settembre scorso, pochi giorni dopo l’attentato contro le vetture di Damiano, ma in particolare di Antonio Genovese, mast’Anto – nio, che secondo quanto emerso proprio da questa nuova parte dell’inchiesta sarebbe stato il vero obiettivo del raid intimidatorio scattato nella serata di nove mesi fa. Ad agire uno scooter modello Tmax che era stato visto allontanarsi velocemente in direzione dell’abitazione dello zio da parte dello stesso ex consigliere e avrebbero esploso ancora una volta una raffica di colpi di arma da fuoco. In una ambientale intercettata dai Carabinieri lo stesso Genovese diceva ai suoi interlocutori che l’autovettura era completamente danneggiata a seguito dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco che non era marciante è che intenzionata a far sparire il veicolo al più presto per evitare probabilmente di doversi giustificare con le forze dell’ordine. Sulla scorta di tali evidenze investigative ai Carabinieri era chiaro ormai sia che volesse far sparire la propria autovettura, una Mercedes e che detenesse illegalmente una pistola all’interno della propria abitazione.

Così il giorno dopo il personale dei Carabinieri della compagnia di Avellino si era recato presso l’ abitazione dello stesso ed avevano notato che era parcheggiata una vettura con dei colpi di arma da fuoco sul parabrezza durante la perquisizione, come noto, era stata trovata una pistola calibro 7, 65, oggetto di furto nell’anno 2015. Nel corso di un sopralluogo erano state anche rinvenute le macchine in uso a Genovese Antonio residente a pochi mesi dell’abitazione di del nipote. Ora saranno questi esami a fare un pò di chiarezza ed un altro passo avanti nell’inchiesta della Dda sul raid di settembre

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Rosa Curcio

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