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I provvedimenti di fermo emessi oggi dalla Dda di Catanzaro a carico del presunto boss della cosca Giampà di Lamezia Terme, Giuseppe (nella foto a sinistra), e di altre tre persone ritenute ai vertici dell’organizzazione accusati di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose, sono serviti anche a bloccare sul nascere il tentativo di estorsione e, al tempo stesso, ad intervenire con rapidità su un territorio funestato, nell’ultimo mese, da tre omicidi togliendo dalla strada i capi cosca. A spiegarlo è stato il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, incontrando i giornalisti insieme al questore Vincenzo Roca ed al capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti.
Un’indagine rapidissima, quella della mobile, che in tre giorni ha permesso di acquisire gli elementi a supporto dell’accusa, poi confermati dai due imprenditori vittime delle tentate estorsioni, nei confronti, oltre che di Giuseppe Giampà, 31 anni, figlio del boss Francesco, «il professore», anche di Angelo Torcasio, 28 anni (il secondo da destra), Battista Cosentino 47 anni (a destra) e Domenico Chirico di 29 (il secondo da sinistra). Torcasio, che non appartiene alla famiglia omonima avversaria dei Giampà, tra l’altro, era ai domiciliari dopo essere stato arrestato, sempre per estorsione, in una precedente operazione.
«Gli omicidi – ha detto Borrelli – imponevano un intervento su quella che è una cosca dominante, allontanando dal territorio quelli che sono gli esponenti apicali. A Lamezia c’è una criminalità dominante che condiziona tutti gli strati sociali e l’economica della città. Ormai tutte le principali attività sono in mano alle cosche. I fermi di oggi potranno essere utili per le indagini future coordinate dalla Dda che ha uno dei punti centrali del proprio lavoro proprio nel controllo della zona di Lamezia».
I Giampà, è stato ricordato da Borrelli, insieme agli Iannazzo «sono la cosca dominante sul territorio lametino ed il fatto che le tre vittime di agguati registrate in un mese fossero tutti legati ai Torcasio, che è la cosca soccombente può significare che questi ultimi volevano rialzare la testa o che ci sia una resa dei conti definitiva anche per fatti del passato». Tra l’altro, a casa di Giampà, gli investigatori hanno trovato un giubbotto antiproiettile. I quattro fermati di stamani, comunque, non rispondono dei delitti ma solo delle tentate estorsioni. Ad indirizzare le indagini della mobile verso i quattro sono state le modalità delle richieste. In entrambi i casi, agli imprenditori, uno impegnato in lavori di ristrutturazione di un palazzo in piazza della Repubblica e l’altro nella costruzione di alcuni immobili, sono state fatte pervenire lettere contenenti proiettili e sono stati compiuti danneggiamenti.
Dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, gli investigatori sono risaliti ai fermati. Giampà, Torcasio e Cosentino, sarebbero stati gli autori di una tentata estorsione da 50 mila euro, 5.000 dei quali come prima tranche, mentre l’altra, non quantificata, sarebbe stata compiuta da Chirico a favore «di quelli della Montagna». Un’espressione che secondo gli investigatori potrebbe indicare le famiglie dei Cappello o degli Arcieri, che gravitano nell’ambito della criminalità lametina e abitanti nella zona conosciuta da tutti come «la montagna».

Operazione della squadra mobile di Catanzaro questa mattina, che ha portato all’arresto di Giuseppe Giampà, 31 anni, ritenuto dagli investigatori il capo dell’omonima cosca di Lamezia Terme. In manette anche altri tre esponenti di spicco della stessa consorteria di ‘ndrangheta.
I quattro sono accusati di estorsione aggravata dalla metodologia mafiosa ai danni di due imprenditori impegnati nella realizzazione di importanti complessi edilizi a Lamezia. Giuseppe Giampà, è figlio del presunto boss Francesco, soprannominato «il professore».

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