Paolo Gentiloni e Ursula von der Leyen
4 minuti per la letturaC’E’ DEL MARCIO in Danimarca o meglio a Bruxelles? Proprio no da qualche tempo a questa parte l’ Unione si sta proprio redimendo. Dopo l’errore della neo presidente della Bce, Christine Lagarde, con la sua affermazione «Non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce» , che ha mandato a picco la borsa di Milano, che ha perso il 17% in un giorno, l’attuale presidente della commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, in carica dal 1º dicembre 2019, ha chiesto scusa per l’assenza in un primo tempo dell’Unione, quando l’Italia era la prima e la sola a contrastare il virus.
La quattordicesima presidente nella storia della Commissione, la prima donna a ricoprire tale incarico, con una serie di interventi ha gestito la seconda parte in modo esemplare, adottando strumenti, che a prima vista sembrerebbero di grande impatto: dal recovery fund, al sure, al Mes. Gli strumenti sembrano essere sufficienti per affrontare una crisi senza precedenti. Ma a fianco alla messa a disposizione di risorse importanti vi è un particolare che non può non essere trascurato. I criteri adottati per la distribuzione degli ammontari rispetto ai Paesi e la preoccupazione sulla destinazione per aree delle risorse messe a disposizione. I criteri riguardano sia i dati congiunturali delle perdite subite dalle singole aree, ma anche i dati strutturali come per esempio il tasso di disoccupazione. Per cui l’Italia che ha subito più danni per il lockdown prolungato, ma che ha anche delle aree a sviluppo ritardato, sarà avvantaggiata nella assegnazione. Il motivo per cui l’Unione si preoccupa di attenuare i divari è evidente.
Povertà e disagio sociale sono acqua di coltura per movimenti sovranisti, populisti ed anti europei che a lungo termine possono minare la stessa sopravvivenza del progetto europeo. In realtà l’atteggiamento dell’Unione manifesta anche delle vistose contraddizioni, perché a fianco a molte raccomandazioni sulla destinazione delle risorse poi recentemente dá un liberi tutti sul vincolo di destinazione, consentendo la possibilità di utilizzare i fondi in tutto il territorio nazionale. Forme di deregolazione possono essere utili in casi eccezionali, come quelli che viviamo, ma il rischio che i forti mortifichino i deboli è molto alto. Tali criteri adottati dall’Unione dovrebbero maggiormente responsabilizzare i governi nazionali e portarli a seguire criteri analoghi nella distribuzione interna. Non sembra che invece tali indirizzi si vogliano seguire da parte dell’Italia che sembra, nelle dichiarazioni dei governanti ma anche nel piano Colao, voler seguire il principio di investire laddove la macchina produttiva è più forte ed ormai rodata.
Le dichiarazioni di Elisa Maria da Costa Guimarães Ferreira, commissario europeo alla coesione, economista e politica portoghese, che raccomanda di utilizzare i fondi sulla base della situazione regionale ,in un’audizione davanti al Parlamento europeo, è illuminante. E non è la prima volta che ricorda al nostro Paese che le risorse europee devono essere aggiuntive e che devono essere utilizzate nelle aree per cui sono destinate. Forse però bisogna passare dalle raccomandazioni, che rischiano di essere sempre più simili a grida manzoniane, a forme più coercitive di intervento. Perché sulla spesa dei fondi strutturali si consuma anche un disegno molto preciso delle classi dominanti estrattive meridionali, che sulla destinazione di tali fondi hanno costruito le loro possibilità di rielezioni. Disponibili a ritardare il loro utilizzo, ma anche a perderli, in maniera da ricattare i governi locali quando, sotto la spada di Damocle della perdita delle risorse per il meccanismo del disimpegno automatico, possono fare destinare tali fondi invece che per il bene comune a vantaggio dei propri clientes.
Per questo tale meccanismo va modificato e riportato a quello della sostituzione dei poteri, molto più logico considerato che con il disimpegno automatico in realtà si penalizzano i territori, incolpevoli della incapacità o mancanza di volontà dei propri governanti di spendere le risorse comunitarie. Ma spesso in tale gioco vi è anche lo Stato complice, quello che dovrebbe sostituire i poteri inadempienti e quindi è necessario che vi sia un ulteriore passaggio a livello Unione. Dovrà essere tale organismo a prendersi la responsabilità di utilizzare al meglio le risorse e non sarebbe male nemmeno che si prevedesse di aprire una procedura di infrazione nei confronti degli Stati inadempienti, laddove tali mancanze si ripetano nel tempo.
Sulla base di obiettivi, come il tasso di occupazione,o l’attrazione di investimenti esteri, o l’export per abitante, o il numero di chilometri di alta velocità ferroviaria per chilometro quadrato, che rispecchino l’evoluzione del sistema economico ritardato. A maggiore ragione l’esigenza si manifesta adesso che le risorse dovrebbero essere consistenti e determinanti per una spinta nuova e sufficiente per recuperare realtà a sviluppo ritardato. Tale esigenza può essere manifestata dal nostro presidente Conte, che in tal modo eviterebbe le pressioni per dirottare le risorse in aree, molto più forti e con capacità contrattuali assolutamente maggiori, per la presenza di giornali, media, opinionisti, imprenditoria e sindacati. Ma anche il nostro ex presidente Gentiloni, con l’incarico di commissario prestigioso che ha, avrà capacità di convincimento rispetto ad un sistema meno dipendente da dinamiche interne. Questo è il momento per recuperare gap decennali di infrastrutturazione, di tessuto produttivo, di carenze di organizzazione turistica, che non possono che fare bene ad un Paese con una grande testa e con gambe , meglio stivali, poco sviluppati. Perché rafforzare le gambe è l’unico sistema per farlo correre e riprendere quel ruolo tra i grandi d’Europa, che, ormai da qualche anno, ha completamente perso.
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