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Egregio direttore ritengo opportuno e doveroso rispondere alla 252688nota di Gigliotti pubblicata giorni fa sia perché viene chiamata in causa la città sia per l’autorevolezza ed il rispetto profondo nei riguardi di Libera e dei valori che rappresenta.
Ritengo doveroso rispondere per sottolineare che c’è anche il disagio e l’impotenza di altri che ugualmente sanno, o che sanno davvero, che pure dicono, parlano, che non si sottraggono al confronto e che poi devono registrare come, attraverso mezze verità, insinuazioni, affermazioni gratuite, vengono costruite visioni virtuali e immagini distorte della realtà.
Di De Magistris, ancor prima di una incredibile e KafKiana vicenda che mi ha personalmente coinvolto, mi ha colpito il duro giudizio sulla sua attività di magistrato non già di soggetti interessati ma di gente seria e credibile quale sono i giudici del C.S.M. ; per il resto la successiva scelta di scendere in politica, benché legittima, ed il suo modo di operare la dicono lunga sul senso di opportunità portato in campo e su come molti in questa Italia intendono e costruiscono l’impegno politico-amministrativo.
Personalmente penso che, fatte le dovute distinzioni, alla pari dei fenomeni di illegalità e degrado amministrativo, l’esperienza di De Magistris sia comunque espressione di un paese malato.
Veniamo alla città, la nostra città.
Facile sparare a zero, potrei rincorrere i luoghi comuni su ogni contesto sociale, lavorativo, economico, professionale e rispondere sempre con uguali parole.
Certo la nostra storia non è stata sempre storia esaltante, ma è stata anche storia di valori e di crescita, con gli inevitabili limiti e gli errori che accompagnano questi processi, ed è comunque storia che appartiene a tutti noi, al pari della storia di ogni famiglia, di quella dei nostri nonni e dei nostri padri.
E’ la nostra storia, da studiare, da comprendere, da migliorare, ma anche da guardare con rispetto.
Circa il presente, non voglio richiamare anni di lavoro amministrativo duro ed ispirato all’interesse della città, svolto con tutti i limiti sia personali che dell’operare in una complessa e non sempre idonea macchina burocratica; non voglio richiamare azioni, opere, strumenti con cui stiamo faticosamente costruendo un nuovo modello di crescita urbana. Voglio solo sottolineare che se si può legittimamente considerare quanto fatto sbagliato, inutile, inadeguato, insufficiente, chiederei solamente di parlarne con un minino di cognizione di causa, non capisco invece come si possa arrivare a parlare di amministratori al servizio di pochi, città plasmata sul servilismo e sulla violenza di cento abusi, città senza una piazza, una scuola, o un parco, offrendo della nostra comunità una immagine tanto distorta, quanto ingiusta e approssimata.
Parliamone, confrontiamoci, sediamoci per tutto il tempo necessario, ne usciremo tutti accresciuti in qualcosa, facciamolo per lo stesso bene di tutti.
Smettiamola però con un ipocrito perbenismo culturale. Ma si può davvero pensare che un Sindaco, un amministratore, stiano lì per divertirsi, fare i propri interessi, costruire gli affari degli altri? Ricordo ancora un filmato di due anni fa con la parola Mafia affiancata ad ogni angolo della città, come ricordo i consulenti di quelle immagini.
Ma è civile un Paese ove alcuni ritengono di avere la patente della legalità e la verità in tasca in barba ad ogni rispetto delle persone, dei fatti, della stessa democrazia?
Ma davvero si può pensare di monopolizzare il dolore pensando che sia una esclusiva di pochi e che quello degli altri sia indegno, davvero si può pensare di monopolizzare la cultura della legalità pensando che quella degli altri sia da calpestare?
Davvero si può credere che c’era un diritto in più per alcuni a manifestare il 19 marzo e un diritto in meno per altri? Tutti eravamo onorati e sentivamo il messaggio e il dolore che veniva trasmesso “a pelle” dai familiari delle vittime di mafia. Utilizzare quella manifestazione, che è stata manifestazione di tutti, è davvero il segno di un grave degrado.
Mi chiedo: cosa si conosce del lavoro degli altri, del dolore e del grido di giustizia degli altri, delle solitudini e delle attese degli altri? O forse, più semplicemente, gli altri non esistono o hanno la colpa di voler anche loro essere persone?
Conosco i luoghi della politica, di essi conosco limiti, potenzialità e libertà, conosco i suoi duri e selettivi confronti, non conosco ancora luoghi migliori per le scelte democratiche.”
Vito Santarsiero
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