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POTENZA – «Non la chiamo una controriforma, altrimenti questa sera mi toccheranno gli strali di sua eccellenza il direttore Ferrara. La chiamerò la pseudoriforma della giustizia». Poi le intercettazioni, l’eredità di Falcone e Borsellino, i meriti per gli arresti dei latitanti, i processi a Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. «Falcone negli anni ottanta ha detto che la mafia è entrata in borsa. A distanza di trent’anni è ancora lì».
Non si è risparmiato proprio nulla Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, davanti ai giovani assiepati nell’auditorium Angelo Laurino per il seminario su “mafie, zone grigie e corruzione” a margine della manifestazione per ricordare le vittime di mafia. Dopo di lui ha rincarato la dose il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli. Erano attesi anche Gianfranco Donadio della procura nazionale antimafia, e Piergiorgio Morosini segretario generale di Magistratura democratica, ma hanno dato forfait all’ultimo momento. Mischiati in mezzo pubblico si sono visti il consigliere di Corte d’appello, Alberto Iannuzzi, che era già in marcia nel corteo con i suoi scout, il sostituto procuratore della Repubblica di Potenza, Annagloria Piccininni, e il pm antimafia Francesco Basentini. Qualche ora prima, sul palco, il precedessore di Basentini, Vincenzo Montemurro (oggi in servizio a Salerno), aveva letto i nomi di alcune delle vittime della lupara. Assente, invece, il capo della procura di Potenza, Giovanni Colangelo. Una defezione di peso, come quella del procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che veniva dato in forse.
Ingroia ha rivendicato il diritto di esprimere la propria opinione sul progetto di riforma della giustizia presentato dal governo, anzi «il dovere di far sapere ai cittadini il punto di vista di chi quotidianamente si occupa di queste vicende».
«Quando ci ritroveremo con una magistratura indifesa e inefficiente non si dica che noi non lo avevamo detto». Fermo restando, ha precisato, che la sua resta «una semplice opinione, senza pregiudicare le scelte autonome del potere legislativo».
Riferito alla Giornata della memoria ha parlato di «un grandissimo segnale di un’Italia che crede nella lotta alla mafia, nei valori della Costituzione, della libertà e della giustizia».
Più tardi ha denunciato la Babele di chi crede in buona fede, come il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che la mafia sia soltanto «coppola, lupara e latitanti» e chi continua a “inseguire i soldi” secondo l’insegnamento di Giovanni Falcone. Sul simbolo con Paolo Borsellino della lotta a cosa nostra Ingroia ha parlato del diritto dei magistrati di rivendicare la loro appartenenza alla categoria. «La mafia è tornata nei salotti». Ha poi spiegato ai ragazzi. «La parentesi dei corleonesi che avevano in maniera evidente le mani sporche di sangue è finita. In un mandamento come quello di Brancaccio, che è lo stesso dov’è stata pianificata la fase stragista di cosa nostra, al posto dei sanguinari fratelli Graviano è arrivato un medico come Filippo Guttadauro che di giorno si occupava di sanità e di notte incontrava i picciotti per organizzare le classiche attività criminali come le estorsioni. Consiglieri e “consigliori” hanno alzato la testa e adesso danno ordini all’ala militare». In questo modo le “famiglie” con la loro faccia pulita avrebbero iniziato a interloquire con i “poteri legali”, l’industria e in molti casi la politica. A proposito ha citato un’indagine che ha finito per coinvolgere anche l’attuale presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo («Quello vecchio, invece – Salvatore Cuffaro,ndr – è nelle patrie galere»). Lombardo aveva in mente di allargare la sua maggioranza politica e per farlo avrebbe incontrato un personaggio insospettabile che aveva ereditato la leadership di un mandamento storico catanese, perchè questo personaggio, oltre che un professionista, era anche il leader di un piccolo partito. Una vicenda emblematica del nuovo volto di “cosa nostra” che utilizzerebbe la corruzione al posto della violenza per curare i suoi interessi “puliti”.
Lo ha detto anche Don Luigi Ciotti dal palco: «La vera forza della mafia è fuori dalle mafie. La corruzione è la vera mafia d’Italia». Aggiungendo che è «una vergogna» che l’Italia non abbia inserito nel codice penale i contenuti del trattato firmato dal Consiglio d’Europa a Strasburgo del 1999 proprio contro la corruzione. «In Italia – sono state le sue parole – si perdono 60 miliardi di euro per la corruzione, i soldi ci sono ma bisogna prenderli ai corrotti». E a proposito del disegno di legge del governo non bisognerebbe parlare di riforma «di sequestro della giustizia». Un progetto che «indebolisce l’autonomia della magistratura», perchè sottometterebbe l’indipendenza dei pubblici ministeri al potere politico. Quindi il no di Libera alla cancellazione dell’articolo 101 della Costituzione. «Dobbiamo difendere – ha concluso – l’indipendenza della magistratura e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge». In un altro passaggio del suo discorso, riferendosi alle intercettazioni, don Ciotti ha detto che «senza le intercettazioni, magistrati come Caselli e Ingroia non sarebbero qui», ma tra le vittime di attentati sventati grazie alle indagini preventive.
«Supponiamo che la riforma del catechismo fosse affidata a un miscredente mangiapreti». Gli ha fatto eco Caselli. «La realtà di questo paese è che la cosiddetta riforma della giustizia è nelle mani di un signore che odia e insulta imagistrati, si ritiene diverso dagli altri comuni mortali e per dribblare i processi ha fatto ricorso a leggi “ad personam”. Ma questo non si può dire. Io posso prendermi qualche rischio in più perchè sono a fine carriera. La riforma della Costituzione non può essere fatta da chi nutre spirito di vendetta e di regolamento dei conti con la magistratura»

Leo Amato

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