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di GIOVAMBATTISTA PAOLA
Colgo nelle parole di Matteo Cosenza, Direttore del “Quotidiano della Calabria” una sollecitazione utile a ripensare al Mezzogiorno e soprattutto al modo su come rilanciarne le prospettive di sviluppo e di crescita, alla luce dei mutamenti epocali che si registrano sulle sponde del Mediterraneo. Cercando di capire e soprattutto di problematizzare la questione. Matteo Cosenza invitava tutti a non tenere la porta chiusa. Il nocciolo della “Questione Mezzogiorno” storicamente intesa, rimane, infatti, ancora, questa: socchiudere il portone. Del futuro. Le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia hanno registrato un significativo mutamento di “clima”. I “sismografi satellitari” manifestano un positivo cambiamento di umore attorno all’Unità del Paese, che al netto della retorica, sempre in agguato, può aiutare a socchiudere il portone. Aprendo un nuovo orizzonte al Mezzogiorno. Il superamento del divario Nord-Sud, nei termini inediti in cui si presenta oggi, necessita intanto, di una grande operazione culturale. L’ostracismo e la diffidenza con cui, quasi 160 anni fa, furono accolti in Calabria i fratelli Bandiera, rimane ancora ben presente nelle società meridionali. Ostracismo e diffidenza che miscelato con l’innato senso di rassegnazione, altro fattore caratterizzante tipicamente e antropologicamente meridionale, hanno finito per produrre la storica subalternità del Mezzogiorno. Su questo versante, sull’esigenza di introdurre elementi di riflessioni che aiutino a modificarne l’impianto culturale, su cui si è retta per anni l’intera letteratura meridionalista, il cammino è ancora lungo. Lo scenario entro cui ricollocare la “questione Mezzogiorno” va, tuttavia, radicalmente cambiando. Nel Paese, ma non solo. La stesso federalismo fiscale, grimaldello “secessionista della Lega, in tutte le sue declinazioni, in assenza di un generale riordino delle competenze e delle funzioni dei vari livelli istituzionali che superi la “legislazione concorrente” finirà unicamente per aumentare la pressione fiscale sui cittadini. Ma non a incrinare l’assetto unitario del Paese. Nonostante tutto. Nonostante i luoghi comuni. Il reticente egoismo. I ritardi e l’incapacità di leggere i processi e le dinamiche economiche e sociali in corso nel Sud del Paese. Nonostante i livelli di consumi che si registrano nelle regioni meridionali, indicatore di contesto da non sottovalutare affatto. Nonostante il livello e la “qualità” dello scontro che si registra nella conferenza Stato-Regioni, sulla ripartizione del Fondo Sanitario. Da una parte le regioni del Nord, dall’altra quelle del Sud. E’, inevitabilmente, in questo scontro, sul terreno della rivendicazione, della modifica dei criteri per la ripartizione, che si snoda un altro pezzo della partita sulla nascita di un nuovo pensiero meridionalista e autenticamente innovativo. Le Regioni del sud chiedono più risorse. Spesso, addirittura inveiscono, urlano. Si, ma consentitemi, dov’è la novità? Più risorse per fare cosa? Per mantenere aperto qualche ospedale di montagna? Per continuare ad alimentare la cultura del “consenso” e rafforzare quella logica che ha finito sempre di più per marginalizzare il Mezzogiorno? L’apertura di una nuova stagione meridionalista che parte con la richiesta di riaprire i rubinetti della spesa pubblica parte con il piede sbagliato, e pone seri problemi di credibilità. Non fa i conti con l’esigenza di riproporre la crescita del Mezzogiorno come una straordinaria opportunità per l’intero sistema paese. Non fa i conti con i processi in corso nel Mediterraneo, che finiranno, inevitabilmente, nei prossimi mesi, a “gerarchizzare” nuovi modelli si sviluppo e ridare centralità a questa area. Non fa i conti con l’esigenza di mettere in campo un’idea di sviluppo moderna, e a ripensare al Mezzogiorno in questa ottica. Fa i conti soltanto con esigenze di “pancia”. Come sempre è avvenuto. Dal 1861. Ininterrottamente. Sempre proni, con il cappello in mano. L’esame di coscienza sul Sud, deve partire da qui.

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