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La Calabria, attraverso le sue Istituzioni, si è ritrovata questa mattina a palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale, per festeggiare i 150 anni dall’Unità d’Italia. I gonfaloni dei comuni e degli altri enti locali territoriali, i rappresentanti dei consessi elettivi, i vertici delle istituzioni statali, i rappresentanti della magistratura, gli stessi componenti l’Assemblea legislativa: una cornice di autorità pubbliche che hanno aderito ad un momento di riflessione storico – politico sul primo secolo e mezzo di vita dello Stato Unitario. Un momento ancor più significativo alla luce dell’attuale momento vissuto dall’Italia, attraversata da pulsioni separatiste e caratterizzata da un dibattito dai toni spesso troppo accesi sul tema del federalismo. A rendere ancora più solenne la cerimonia è stata l’esecuzione dell’Inno di Mameli da parte del soprano reggino Alma Manera in un’aula addobbata di una composizione floreale con i colori della bandiera nazionale.
A ricordare il contributo dei calabresi all’Unità d’Italia, dopo il presidente Franco Talarico e l’arcivescovo Vittorio Mondello, sono stati gli storici Ferdinando Cordova ( docente dell’Università La Sapienza di Roma) e Vittorio Cappelli ( Università della Calabria). Per la Giunta regionale (il Governatore Giuseppe Scopelliti fuori regione per impegni istituzionali) c’è stato l’intervento della vice presidente della Giunta, Antonella Stasi.
«Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani ed orgogliosi di chi l’Italia l’ha voluta e fatta»; così il capogruppo del Pdl, Luigi Fedele, nel suo intervento nel corso della seduta straordinaria del Consiglio regionale per il 150/mo anniversario dell’Unità d’Italia.
«E questo sentimento – ha aggiunto – occorre avvertirlo sia nel Centro che nel Nord e, a mio avviso, soprattutto nel Mezzogiorno, che alla causa unitaria ha dato uomini e donne, energie e passioni, morti ed immensi sacrifici. E dobbiamo essere orgogliosi, noi meridionali, perchè, prima che l’Unità fosse conquistata (con il prezioso e generoso contributo anche dei tantissimi liberali calabresi, molti dei quali, specie dopo la terribile reazione del 1849, furono costretti ad emigrare) per una serie di vicende storiche, sociali e culturali, noi meridionali – come ebbe a dire Vincenzo Cuoco a proposito della Rivoluzione Napoletana del 1799 che costituisce secondo molti storici il preludio dell’Unità, ‘non eravamo nullà. Diventammo or Francesi, or Tedeschi, ora Inglesi. Tante volte ci era stato ripetuto che non valevamo nulla, che quasi si era giunto a farcelo credere. Le condizioni del nostro Sud, specie della Calabria, erano disastrose: la giustizia amministrata secondo la casta d’appartenenza, i processi inquisitori, la povertà si tagliava a fette per i ceti sociali più deboli. La Calabria, anche a causa del terremoto del 1783, presentava divergenze insopportabili tra ricchi e poveri, senza commerci, con un’agricoltura a pezzi, le industrie inesistenti. Non c’erano diritti, c’era la Monarchia e il suo arbitrio. A tutto questo paesaggio desolato ha posto fine l’Unità d’Italia. La nascita dell’Italia, dello Stato italiano, ci ha resi, come meridionali anzitutto, protagonisti del nostro destino, arbitri della nostra vita. Liberi da monarchie e tiranni: questa conquistata indipendenza del nostro Paese merita di per sè di non essere mai dimenticata. Possiamo anche tollerare polemiche aspre circa le ragioni di quella parte del Nord che dà segni d’insofferenza verso l’Unità, o le ragioni di quella parte del Mezzogiorno che non dimentica i Borboni e che ricorda a discredito dell’Italia unita, la bruttissima pagina del brigantaggio che ebbe come conseguenza una repressione cruenta ed a tratti sanguinosa. Forse su quella pagina l’Italia ci si dovrebbe soffermare di più. Ci vorrebbe una “operazione verità” per ristabilire torti e ragioni, ma questa è un’operazione che spetta agli storici. L’Italia unita, costituzionale e parte integrante e protagonista di un’Europa il cui progetto è presente persino nelle pagine del nostro Risorgimento; l’Italia, il cui sguardo, soprattutto oggi, è auspicabile che sia diretto con maggiore efficacia verso le politiche euromediterranee, può tollerare divergenze e contrarietà sul suo atto di nascita, sulle cause del suo lungo concepimento e su taluni episodi salienti del processo che ha avuto come sbocco l’impresa dei Mille e, quindi, la proclamazione dello Stato unitario. Ma ad una condizione: che non si metta in discussione ciò che i nostri padri hanno conquistato col sangue e l’intraprendenza carica di abnegazione nel 1861.
In tal senso, anche nella qualità di esponente di un partito che tra le sue responsabilità ha la guida del Paese in questa congiuntura economica internazionale assai complessa, ho il dovere di ribadire che per noi non si torna indietro. Non si mette in discussione il disegno unitario. Un Paese frantumato non sarebbe più l’Italia e non si farebbero neanche gli interessi del Nord dividendo l’Italia. Il Nord sarebbe un pezzo di geografia d’infime proporzioni senza il resto del Paese. Non potrebbe svolgere mai una funzione prestigiosa a confronto con le economie forti degli altri partner europei. Oggi possiamo festeggiare senza patemi e preoccupazioni l’Unità, perchè il federalismo sta procedendo rapidamente verso la meta. L’aver ripreso l’idea federalista – già presente nella fase Rinascimentale, sia nella forma laica che cattolica – ma accantonata in favore del centralismo sabaudo – è stata una soluzione politica di straordinaria importanza».
Secondo Fedele, «la questione meridionale è nata con l’Unità, come dicono i libri di storia, quando scientificamente si piegarono le scelte generali per favorire lo sviluppo del Nord a scapito del Sud – da meridionale e da calabrese non posso certo essere io a sottacere questa lampante verità! – E’ cresciuta e si è aggravata, in seguito, a causa di uno Stato centralista e opprimente. Tocca oggi apici inquietanti, per disagio sociale, disoccupazione giovanile, lacune scolastiche e corruzione e sono esattamente questi i veri pirati da cui l’Italia deve guardarsi. Nostro merito oggi, è quello di avere una risposta per tenere unito il Paese, nella continuità ma dentro un processo di modernizzazione che ci deve vedere come classe politica più uniti sulle grandi trasformazioni di sistema. Questo è l’auspicio che mi sento di pronunciare in questa solenne occasione». Fedele, nel suo intervento, ha anche ricordato i «patrioti morti per l’Unità, calabresi e non, nel corso di tutta la fase risorgimentale. Un ricordo va a tutti questi eroi e poi quelli del ’48 e del ’60. E segnatamente ai ventuno calabresi della spedizione dei Mille La Calabria fra tutte le regioni del Mezzogiorno continentale ha dato il maggior numero di patrioti alla gloriosa impresa di Garibaldi».

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