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L’ASP di Cosenza ha intimato ai laboratori privati di non effettuare test sierologici per la ricerca di anticorpi Covid-19. Perché? Se posso andare a ritirare una pizza o una porzione di qualsiasi altra pietanza, se posso andare a fare manutenzione alla mia barca (è ovviamente solo teoria), se posso, insomma, riappropriarmi di alcune libertà che prima erano state sospese, legittimamente, per motivi di salute pubblica, perché non posso decidere di pagare di tasca mia un test sierologico in un laboratorio privato? Perché dovrei poter spendere in farmacia 8, 9 o dieci euro per una mascherina FPP2 (senza valvola), molto più spesso una KN95 secondo la classificazione equivalente cinese, che oltre a limitare il rischio che io possa trasmettere il virus, limita anche quello di beccarmelo e non pagarmi un test sierologico? Non avendo sintomi di alcun genere, pare di capire, spulciando solo tra le dichiarazioni ufficiali, nulla esclude che possa essere o essere stato un contagiato dal Covid-19 asintomatico.

Quindi? Perché devo rinunciare al mio diritto di sapere (senza, per inciso, alcun interesse ad avere “patenti di immunità” che a dire dell’Iss – lo abbiamo capito – non si possono attualmente avere con alcun test esistente), di avere qualche elemento di tranquillità in più se decidessi di andare a trovare il giorno dopo, come previsto, seppur bardato di mascherina, occhialoni e guanti, un anziano parente stretto, notoriamente appartenente alle categorie più a rischio? Può una gestione burocratica (perché di questo si tratta) dell’emergenza privarmi anche di questa possibilità?

Pare di capire, per aver sentito sul punto anche virologi (che, fino a prova contraria, hanno credibilità pari o maggiore di quelli per i quali, qualche mese fa, il Coronavirus non avrebbe dovuto destare preoccupazioni più di tanto…), che se mi sottopongo al test sierologico “quantitativo” (cioè non quello rapido che si effettua su una goccia di sangue capillare) di certo non posso fare danni alla collettività, anzi…

Per quale motivo devo guardare in televisione servizi sui test sierologici che molte aziende fanno eseguire ai propri dipendenti, in altre regioni, e vedermi preclusa la possibilità di farmelo fare a spese mie, senza cioè onere alcuno per le casse pubbliche?

Questa emergenza, che nella drammatica “fase 1” ha messo in discussione certezze personali, intime, ma anche sociali, al di là di ogni valutazione che solo tra qualche anno avremo la mente fredda per poter fare, ci ha tramortito. Ma non necessariamente ci ha reso ebeti: non bisogna essere esperti in malattie infettive, in statistica o membri dell’Oms per immaginare che se il numero dei deceduti in Italia dovesse rimare quello registrato ad oggi, rapportandolo a quello attuale dei contagiati ufficiali (anche questo numero poniamo che sia “definitivo”), verrebbe fuori che ogni x contagiati ne sono morti y. E questo indice (fermiamoci qui) non torna con quello al centro di studi epidemiologici ritenuti di qualche valenza. Per farla breve: mancherebbe un esercito di contagiati che potrebbero aver contratto il virus e non essersene nemmeno accorti. Le regole, anche quelle pesanti, che abbiamo rispettato per la nostra sopravvivenza come popolazione, che abbiamo seguito in maniera scrupolosa (almeno in gran parte) per non favorire la propagazione del contagio, avevano un saldo legame con la logica.

Se qualcuno, oggi, in Calabria, mi impedisce, di fatto, di effettuare a mie spese un test sierologico, senza alcun peso sulle strutture pubbliche (sulle quali, quando passerà questa pandemia, perché passerà, occorrerà rivedere molte cose), ha il dovere di motivarlo con ragioni di salute pubblica. Altri argomenti appaiono fragilissimi e, soprattutto, vanno a limitare scelte e libertà in maniera intollerabile. È giusto che l’Italia debba ripartire, e che debba farlo mantenendo quelle misure ancora necessarie a partire dal “distanziamento sociale”; è sacrosanto che la Calabria debba ripartire, che la pandemia vada tenuta strettamente sotto controllo, che l’economia abbia l’ossigeno per non morire, è legittimo e apprezzabile che Ministero, Istituto superiore di sanità e tutte le autorità che vogliamo facciano test sierologici (pagati con soldi pubblici) a campione a fini di indagine epidemiologica.

Ma perché mai, con i miei soldi, che coscientemente spendo per acquistare mascherine e guanti monouso, venduti dappertutto a prezzi folli (più che decuplicati), non posso coscientemente sottopormi al test da privati, senza far danno ad alcuno? E questo non è solo il caso aperto dalla decisione del commissario dell’Asp di Cosenza, che peraltro gode di stima diffusa per come sta operando, è una questione che chiama in causa anche la Regione Calabria (altre si sono già mosse). Ed è una questione che incide anche sulle mie libertà, sacrificabili sì, ma non per ragioni che nulla hanno a che vedere con la salute di chi mi sta intorno (o mia).

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Alessandro Chiappetta

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