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C’è una schiavitù che si illude di non avere padroni: è quella di chi è schiavo del vuoto.

Non riconosco libertà nelle dittature dichiarate o mascherate da democrazie, imposte con la violenza fisica o con quella, altrettanto brutale, della menzogna; nell’egoismo dei singoli a scapito di tutti; in chi per primo riempie il proprio piatto; nel muro di indifferenza di chi scansa tutto ciò che non lo investe; in chi chiama “libertà” il libertinaggio; nella sfacciataggine che ha perso ogni pudore; nella solitudine randagia dei cani sciolti che pisciano ovunque e nessun territorio è loro.

Non riconosco libertà nelle mani costantemente aperte che accarezzano l’aria, ma non trattengono niente; nella pelle che non ha alcun segno; in quelli che parlano senza pensare e pensano senza parlare; in chi tira dritto per il mondo e mai ha avvertito la forza elastica di un ricordo.

Riconosco libertà in chi sa che è pochissima – misura appena una lettera – la differenza tra esistere e resistere; in chi fa quello che sente giusto, anche se non gli va, e cerca come può di togliersi dalla coscienza l’ingombro di un rimpianto o di un rimorso.

Riconosco libertà in Orfeo che per amore non rispetta la regola, e si volta a guardare Euridice.

È libero il fiume che confluisce in un altro fiume, che confluisce nel mare, che confluisce nell’oceano. È libero il fiore che trae forza dalla radice, come l’aquilone, a cui per volare non basta il vento, serve anche un filo teso da terra.

Fare della libertà un concetto di assoluta indipendenza significa farne un concetto astratto che non trova riscontro nella realtà. La libertà non è fatta di manette, ma di legami sì.

Se vogliamo essere liberi, dobbiamo avere cura dei nostri legami. Che sia tutti i giorni il venticinque aprile.


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