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POTENZA – I telefoni hanno iniziato a squillare ieri mattina. A un capo la Questura di Potenza sezione “reati contro la pubblica amministrazione”. All’altro imprenditori, medici, infermieri, l’ex assessore regionale alla Sanità con signora e figliola al seguito.
In tutto sono trentadue persone, e hanno iniziato a sfilare negli uffici di viale Marconi poco prima che facesse buio per ricevere una copia dell’avviso di conclusione delle indagini su appalti, e forniture all’ospedale San Carlo di Potenza. L’inchiesta è la stessa che è diventata di pubblico dominio a gennaio del 2009 tra i filoni originati dalle intercettazioni degli imprenditori interessati alle gare del programma di estrazioni petrolifere nella Valle del Sauro. Ma c’è dell’altro. Molto altro.
Per due anni le attività sono proseguite sotto traccia, e negli uffici al quarto piano del Palazzo di giustizia di Potenza il fascicolo è passato di mano: dal pm Henry John Woodcock (tornato a lavorare per la procura partenopea), al collega Salvatore Colella (arrivato dalla città dei Sassi). E non è passata inosservata la passeggiata di Colella nei corridoi di Macchia Romana a metà della scorsa settimana. Il sostituto procuratore si è scomodato di persona per acquisire gli ultimi documenti.
Tra le accuse oltre a diversi episodi di corruzione, concussione e turbativa d’asta, spiccano il peculato di infermieri e luminari della medicina. I primi si portavano a casa farmaci e attrezzature varie, i secondi si comportavano in reparto come se fossero a casa loro, disponendo di infermieri e attrezzature per la loro seconda attività, quelle che in gergo si chiamano “prestazioni intra moenia”.
C’è un capitolo dedicato ai favori per gli amici e i parenti di un gruppetto di dottori, come l’ex assessore regionale Antonio Potenza, che avrà voluto testare – in incognito – la qualità dei servizi offerti dal centro di eccellenza della sistema sanitario regionale per sè stesso, moglie e figliola. Se è mai possibile dev’essere per questo che alla fine non ha pagato nemmeno un euro di ticket, mentre gli altri fanno la fila. Per non bruciargli la copertura c’è chi avrebbe fatto carte false, e chi ogni giorno “forzava” il sistema di prenotazioni inserendo urgenze inesistenti.
Diverse anche le truffe sulle spese fatturate alla Regione per i convegni organizzati nei locali dell’auditorium. Il titolare della ditta che avrebbe lavorato per diversi anni in regime di quasi monopolio per reclutare le hostess, una ditta di catering, e quant’altro necessario per l’occasione, si era fatto una copia delle chiavi per non disturbare ogni volta l’amministrazione. Tanto valeva dargli la gestione di tutta la struttura, no? Invece si passava ogni volta per un affidamento, e serviva un tecnico di laboratorio che facesse il superlavoro per «velocizzare e supportare l’iter burocratico» tra l’azienda ospedaliera e la Regione. Grazie all’amicizia delle persone giuste i problemi si risolvevano, ma intanto bisognava mollare al loro destino i vetrini e le provette. In conclusione la Regione doveva sempre pagare qualcosa in più per compensare lo “sbattimento”.
La mole di atti a sostegno delle accuse è ponderosa. I capi d’imputazione sono cinquantuno per fatti che vanno dal 2003 al luglio del 2008, con uno spartiacque a febbraio del 2008 che è quasi una ricorrenza. Non è una data qualsiasi perchè è quando si diffuse la notizia che al San Carlo erano stati sorpresi dei tecnici all’opera su una centralina elettrica. L’ora era insolita, e a un rapido controllo era emerso che in precedenza non era stato segnalato nessun guasto, per questo il responsabile dell’ufficio tecnico aveva fatto il 113 denunciando la situazione. Al loro arrivo i poliziotti non avrebbero trovato anima viva, ma solo antenne e centraline per radiotrasmittenti. Un piccolo ripetitore camuffato in mezzo agli interruttori, uguale a quelli utilizzati dalla polizia giudiziaria per rilanciare il segnale a corto raggio di microfoni per le intercettazioni ambientali. Qualche giorno dopo la direzione generale sarebbe intervenuta con una nota pesantissima di biasimo per il rischio di quell’operazione sia per i tecnici impiegati, che per i pazienti dell’ospedale, considerate le possibili interferenze con le apparecchiature mediche in funzione a breve distanza.
Quell’episodio è ricostruito anche nell’avviso notificato agli indagati. Sembra che a un certo punto un tale “Luigi”, che gli investigatori non sono riusciti a identificare, avesse informato quel tecnico di laboratorio che si occupava di sbrigare le pratiche dei convegni del fatto che la procura della Repubblica di Potenza avesse in corso un’attività di intercettazione ambientale all’interno dell’ospedale. Il responsabile degli impianti elettrici si sarebbe attivato per bonificare gli uffici dalle microspie, e aggeggi come quello ritrovato nella centralina. Dopodichè sarebbe stato informato anche il titolare della ditta che organizzava tutti quei convegni. Per questo adesso il tecnico e l’elettricista devono rispondere di favoreggiamento.
Leo Amato
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