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POTENZA – Il simbolo della piazza potentina è Chiara, diciassette anni, jeans larghi e maglione di lana spesso per combattere il freddo. E’ lì con un’amica (ancora più piccola, che di anni ne ha 14) e se ne sta per tutto il tempo in un angolo. Pure loro stanno lì per urlare “Se non ora quando?”, come in altre 240 piazze d’Italia. Pure Chiara e le altre sono lì, ma sono poche rispetto alla massiccia presenza di donne più adulte. La sensazione è che manchi (o quasi) un’intera generazione. «Sarà che ci è stato raccontato troppo spesso che le conquiste erano state fatte», ma non è così. A sentirle parlare, tutte quelle donne in piazza, la parità non è né raggiunta, né rispettata. «Lo so che non sarà una manifestazione a cambiare le cose – dice Chiara – Ma almeno io ci sono, dico che così non mi va bene». Così come? Lo racconteranno in più punti di vista. Si sono radunate a partire dal mattino, in piazza Matteotti a Potenza, con alle spalle il municipio e di fronte il lento passeggiare di una domenica fredda come quelle che solo l’inverno potentino sa regalare. Si comincia quando dal furgoncino della Cgil, parcheggiato a delimitare lo spazio della manifestazione, vengono fuori le organizzatrici che chiedono aiuto nel gonfiare i palloncini. C’è da attaccare gli striscioni, da distribuire i fiori. Ma solo per chi non ci ha pensato. La gran parte arriva pronta da casa, con fiori veri, annodati, raccolti nella bandiera italiana (l’unica bandiera ammessa), girasoli, rose e margherite, qualcuno di stoffa appuntato sulla giacca. E poi, all’angolo, va posizionato l’ombrello rosso, come quelli scelti anche a Roma per marcare la giornata. Chi c’è, dà una mano. A Potenza proprio Cgil e l’associazione Telefono donna hanno organizzato la piazza del capoluogo aderendo all’appello nazionale. Poi le adesioni si si sono moltiplicate: partiti, associazioni, istituzioni. «La manifestazione è promossa da noi donne, siamo gelose della nostra autonomia e non ci lasceremo “usare”», avevano scritto lanciando l’invito alla piazza trasversale, uomini compresi. Sì, c’erano pure i mariti «perché questa manifestazione è per la dignità in generale». Non è una manifestazione “partitica”, al massimo politica. Ma è chiaro che la sfumatura della piazza non sfugge. Non servono le bandiere, né le sigle per capire che la politica nazionale, con quello che si agita tra palazzo Chigi e le due Camere, tra inchieste, dibattito e polemica, non resta poi così sullo sfondo. A ricordarlo anche qualche segno di ironia lasciato qua è là. La gabbietta con dentro il volto del premier Berlusconi aveva fatto la sua comparsa prima dell’afflusso mattutino. No, non ci sono simboli, né bandiere e neanche un palco. «Questa piazza è di tutte e di tutti», aveva spiegato Vitina Iannielli, storica anima della Cgil potentina nel leggere il manifesto della giornata. Nelle letture si alternano pure i temi e i racconti. Alassandra fa l’attrice, è bella, giovane ed è tra quelle che, come diceva Alda Marini, regalano sogni anche a costo di rimanere ferite. Poi ci sono Anna, Carla, Michela, Laura. Ci sono le donne della difficile quotidianità, del precariato, del fare sempre tutto e bene, dello studiare per non arrivare, del non volersi vendere, del non temere la bellezza, ma del preferire merito e intelligenza come strumento. Ci sono le donne cattoliche. Ci sono le donne stanche di subire violenza, fisica e non. A parlarne sarà per tutte Cinzia Marroccoli, presidentessa di Telefono donna. Sceglie i versi della poetessa messicana Susana Chavez, violentata, uccisa, gettata nella spazzatura e poi privata della mano destra. «E’ la mano della scrittura». Nella folla si intravede Antonietta Botta, presidente della commissione regionale Pari opportunità. Nei giorni scorsi, dell’adesione dell’organismo alla manifestazione, avevano chiesto conto le commissarie in quota centrodestra. «Mai votata la scelta», avevano tuonato. E ieri anche il consigliere regionale del Pdl, Mario Venezia, ha richiamato Botta sottolineandone «la sua cultura comunista nell’assumere, autonomamente la decisione di aderire alla manifestazione contro Berlusconi». Al presidente del consiglio regionale Vincenzo Folino, Venezia chiede un atto di censura o un invito alle dimissioni. In piazza, nel frattempo, mariti, figli, ma soprattutto rappresentati di istituzioni, sindacato, partiti. Segretari di Pd, Sel, Cgil, Idv, socialisti, il presidente della Provincia, consiglieri, assessori, deputati. Ma le donne hanno un’aria più normale. Qualcuna si ritrova, nel fitto vociare, dopo tanto. «Ma si deve scendere in piazza per vedersi e parlare un po’?». Forse è anche per questo che lì, tra loro, manca (o quasi) un’intera generazione.

Sara Lorusso

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