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Si fa sempre più impenetrabile l’alone di mistero che avvolge la morte di Antonio Bonavista, professore di musica in una scuola media statale di Torino trovato nella sua mansarda della centralissima via Rossini, al civico 12, ad un tiro di schioppo dalla Mole Antonelliana, davanti l’ingresso dell’Auditorium Rai di Torino. La scoperta del corpo del quarantacinquenne è avvenuta lunedì 31 gennaio, verso le 20, mentre il decesso viene fatto risalire alla notte a cavallo tra sabato 29 e domenica 30. Tra le 24 e le 36 ore prima del rinvenimento. “Ci aspettiamo molto dai risultati e dalle risposte che l’autopsia e l’esame tossicologico di alcuni tamponi daranno”. E’ vero, nella capitale sabauda tanto amata da Friedrich Nietzsche molte attenzioni sono concentrate sull’inchiesta del docente lucano di Pomarico. Ma soprattutto si tiene la bocca ben cucita nella città in cui è venuto alla luce il Diabolik delle sorelle Giussani, che affonda le sue radici nel “giallo di via Fontanesi”, uno dei grandi casi per sempre irrisolti accaduti nel quartiere Vanchiglia a Torino nel febbraio del 1958.

MALORE PROVOCATO?
In questa storia non ci sono lettere anonime firmate Diabloch e non c’è il corpo straziato del giovane operaio Fiat Mario Giliberti, vittima di un misterioso omicidio a sfondo omosessuale. In questa storia c’è il corpo di Antonio Bonavista che non presentava evidenti segni di violenza. Lo hanno ritrovato seminudo sul letto, appoggiato a un cuscino, leggermente piegato verso sinistra. Il professore dell’istituto statale Calamandrei di via Benedetto Croce è morto sul colpo, un infarto, un decesso fulminante. Quello che ancora non si sa è: cosa e soprattutto chi ha provocato questo malore? Ci sono sufficienti elementi che portano a prediligere l’ipotesi che Bonavista non fosse solo. Qualcuno che l’ha visto stare male ed è scappato senza chiamare i soccorsi. Gli agenti del Commissariato Centro, che hanno in mano l’indagine coordinata dal sostituto procuratore Eugenia Ghi, in questi giorni di inizio febbraio sono sospesi tra mille domande solo apparentemente senza risposta. Nelle ultime ore si accredita sempre più la notizia, che non trova conferme e smentite ufficiali, di un testimone che potrebbe aver visto una persona lasciare la mansarda del professore.

VITA SOLITARIA
Bonavista viveva solo. E’ stato descritto come un uomo molto ordinato e preciso. Invece, in casa c’erano libri, spartiti musicali e cassetti in disordine. Come se qualcuno avesse cercato qualcosa. Avrebbe dovuto arrivare a scuola entro le 10 di lunedì 31 gennaio, doveva essere in aula alle 10.15. Ma quel giorno nessuno lo ha visto. E soprattutto lui non ha avvisato. Un collega che conosceva l’abitazione, la sera verso le 20, è andato a cercarlo. Inspiegabile che non si fosse fatto vivo per l’intera giornata. “Ho pensato che si fosse sentito male e per questo sono andata a casa sua. Il telefono era spento”, ha spiegato agli inquirenti. A bloccare la porta della casa c’era il solo fermo della serratura. Bastava spingere per aprirla. Arrivano gli uomini della Squadra Mobile di Torino. Un primo esame necroscopico del medico esclude segni di violenza. Ma il perito legale Fabrizio Bison, a cui è stata affidata l’autopsia, sul corpo di Bonavista avrebbe trovato tracce di lesioni. E tornano in mente la porta bloccata dal solo fermo della serratura e il diffuso disordine in casa…

TANTE DOMANDE
Mentre si attende il risultato dell’esame tossicologico, affidato a Michele Petrarulo, le domande fioccano. C’era qualcun altro nell’appartamento? Chi? Erano arrivati insieme o separatamente? Cosa ha causato il malore che ha stroncato il quarantacinquenne? Una lite iniziata male e finita peggio, nonostante l’autopsia escluda la morte violenta? Una rapina compiuta da qualche “amico” che conosceva la vita e la casa del professore? E se si trattasse di uno sconosciuto? Centrano qualcosa le frasi ingiuriose e minacciose, con riferimento alla sfera sessuale, comparse poco meno di un anno prima sulle mura della scuola in cui insegnava? E lo spiacevole e delicato episodio, avvenuto su un treno, in cui il professore era rimasto coinvolto nei primi mesi del 2010? Queste sono alcune delle domande a cui sono chiamate a rispondere le indagini, orientate a ricostruire dettagliatamente le ore che hanno preceduto la sua morte. “Ci vuole tempo, specialmente per quanto riguarda la verifica incrociata delle utenze telefoniche”, riferiscono gli inquirenti. Possono volerci più di 30-40 giorni.

NESSUN RUMORE
Bonavista aveva una personalità ricca e riservata. I suoi interessi spaziavano dalla pittura alla musica, passando per la passione quasi struggente coltivata per Antonio Vivaldi. Al compositore e violinista legato all’ambiente del tardo barocco veneziano, il professore lucano dedicava il Pomarico Vivaldi Festival, di cui era anima e non solo. I suoi vicini di casa lo definiscono “educato, gentile, intelligente, disponibile”, “spesso sorridente e solare”. Però, in pochi avevano la sua e-mail, il suo numero di cellulare… A scuola dicono che aveva un comportamento irreprensibile, che aiutava i ragazzi in difficoltà, che era esigente, preparato, ma anche severo. In pochi sapevano dove abitava e se aveva problemi, magari affettivi. Aveva una relazione? Se sì, era vissuta nell’ombra, nonostante Bonavista non ritenesse un limite e non facesse mistero del proprio orientamento sessuale. Al civico 12 di via Rossini dicono che dal suo piccolo bilocale non provenivano mai rumori. Mai fastidi. Non lo si vedeva né entrare né uscire. Così come non si vedevano entrare e uscire le persone che frequentavano casa sua. “Quasi non ti accorgevi che c’era”.

I DUE INGRESSI
Come si può non incrociarsi o non vedersi quasi mai in uno stabile d’epoca di soli quattro piani, venti appartamenti in tutto, due al piano terra, tre per ogni piano superiore e nove mansarde al quarto? Diventa facile se ci sono due ingressi, come nel palazzo in cui abitava Bonavista. Al numero 12 di via Rossini, un elegante rettilineo che collega corso Regina Margherita a via Po, tagliando corso San Maurizio. C’è un ingresso principale, un massiccio portone in legno, sempre aperto perché il cortile del palazzo è condiviso con il Teatro Gobetti. Nell’androne c’è un piccolo portoncino in legno, sempre chiuso. E’ l’ingresso principale agli appartamenti. Nel cortile c’è una moderna scala a chiocciola che conduce ai ballatoi. E’ l’ingresso secondario ed è accessibile a chiunque. In questo caso sarebbe facile entrare ed uscire senza dare nell’occhio, specialmente in una notte fredda e ricca di nebbia com’era quella torinese a cavallo tra sabato 29 e domenica 30. Al quarto piano abitano anche alcuni dipendenti Rai, sono musicisti. Anche loro non hanno visto e sentito nulla. Come sempre.

GRANDE STUDIOSO
La morte di Bonavista ha avuto risonanza ed evidenza sia a Torino sia in Basilicata, dove era stato amministratore alla Provincia di Matera e consigliere comunale a Pomarico. Il presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, Vincenzo Folino, ha espresso cordoglio per la sua scomparsa, ricordando che “Antonio Bonavista rappresentava un punto di riferimento importante per i suoi concittadini. Si è reso protagonista di iniziative lodevoli ed importanti, quali l’ideazione del Pomarico Vivaldi Festival, dopo aver scoperto le origini lucane della madre del musicista”. Il consigliere regionale Giuseppe Dalessandro, area Pd, che di Bonavista è stato amico sottolinea che il professore “ha speso gli anni in cui ha vissuto ad animare le dinamiche culturali del nostro territorio, fino a conseguire il risultato più importante, aver scoperto in Pomarico le origini della famiglia del musicista veneto Antonio Vivaldi vissuto tra il 1600 e il 1700. Tutti abbiamo il dovere di essere protagonisti della nostra storia e di tramandarla”.

RICORDO TORINESE
AncheTorino ricorda Bonavista come un professionista serio e preparato. Lucano di origine, torinese di adozione, Vincenzo Laterza conosceva personalmente il professore Bonavista. Ricorda che lo incontrava spesso “all’Auditorium. Ogni qualvolta si parlava di Vivaldi lui c’era. Era sempre molto attento all’argomento. Qualche volta è capitato che ha interrotto i relatori per fare domande più approfondite o per muovere note critiche. Era un valido professionista, molto preparato, in particolar modo su questo argomento. Ma sempre molto educato e gentile. Personalmente ne ho un ricordo pulito, di una persona limpida, attenta, partecipe della vita culturale e sociale della sua città, che ormai era Torino. Lui aveva scelto di vivere qui e si era perfettamente integrato nel tessuto di questa città. Partecipava sempre ad eventi e la sua era una partecipazione molto attiva e valida. Insomma non era assolutamente una persona che viveva ai margini. So che era ben voluto e stimato, apprezzato e cercato”.

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