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di FRANCO CIMINO
Gli amici diranno di non averlo mai conosciuto. I suoi tanti beneficiati di aver vinto i concorsi per meriti scientifici. I colleghi di partito che ha contribuito a fondare (tranne Casini, sempre coraggioso) di non averlo mai incontrato. Succederà. Anche a lui, perché è nella testa dell’uomo contemporaneo di salire e scendere da quel carro dove si recitano vittorie e umiliazioni, trionfi e sconfitte. E dove si bruciano, nella continua rincorsa ad ambizioni e a piccoli o grandi interessi, gli ultimi scampoli di umanità. Salvatore Cuffaro, per tutti Totò, condannato definitivamente a sette anni di reclusione per concorso esterno alla mafia, ci restituisce invece un pizzico di quell’umanità “sconfitta”. Lo fa varcando le porte del carcere senza imprecare, insultare, odiare. Qualcuno o il sistema. L’Italia o gli italiani. Lo fa accettando disciplinatamente la sentenza che lo condanna ad una pena pesante, scaturita da motivazioni ancora più pesanti. “Nei lunghi mesi di processi e accuse, non ha parlato di complotti orditi, magari dalla mafia o da servizi segreti deviati, contro di lui uomo potente ancora in ascesa. Non ha considerato i giudici e le Procure organizzazioni parapolitiche ovvero una sorta di associazioni a delinquere, che andrebbe, diciamo, riformata”. Si è fatto processare e nel processo si è fatto giudicare, rispettando anche l’accusa che lo rappresentava come uno dei criminali più pericolosi. Totò Cuffaro, come uomo si è affidato alla famiglia che ama e a quei due figli, particolarmente la femmina, che sono la sua passione, talvolta sofferta. E a Dio, che ha pregato anche durante le ore angosciose della sentenza finale. Come imputato, si è difeso con i mezzi e gli spazi che la legge dello Stato democratico ampiamente offre. A tutti. Forse, tutto questo non servirà ad equilibrare colpe riconosciute e desiderio di riscatto. E non aiuterà a ridurre la sua responsabilità dinanzi alla verità giudiziariamente accertata. Ma di sicuro servirà al suo Paese, intontito da uno scontro politico senza precedenti e da uno sconcertante abuso di verità mass-mediali e da processi televisivi, nelle cui improprie aule rappresentanti del Parlamento, da una parte, e uomini di governo, dall’altra, consumano energie preziose per la cura degli interessi dell’Italia. A questo Paese, il nostro, l’atteggiamento dell’ex presidente della Sicilia servirà per recuperare il senso delle istituzioni e un sano sentimento verso la Nazione. Servirà a capire che in uno Stato di diritto il potente non può sottrarsi alla Legge, e che la legge è strumento prezioso di garanzia democratica. Ad accettare anche il principio che la immodificabile dignità della persona, proprio nello Stato di diritto può trovare tutela e onorabilità, pur quando fosse lo Stato a sbagliare. Totò Cuffaro, insegna che, di fronte al dolore e alla propria personale sventura, la forza umana non è data da eserciti di servi e cortigiani o dall’uso di un debordante potere politico ed economico. E’ data invece dalla propria coscienza, dalla vicinanza della propria famiglia e dalla richiesta, con la preghiera, dell’aiuto di Dio. Tutto questo consente di superare l’ardua prova se si è lontani da colpe ascritte, oppure di attenuarne il peso morale nel caso in cui, dentro di sé specialmente, si avvertisse inemendabile responsabilità. Quanto a lui, Totò, come persona, se lo incontri, ti disarma. Appare come un bonaccione, sempre sorridente, mai collerico o espressamente cattivo. Quel “vasa vasa” di cui si è ampiamente ironizzato per il modo, prettamente meridionale, di accorciare le distanze tra politico ed elettori, in lui è sembrato essere cosa diversa. Non una tecnica d’approccio, usata normalmente da tanti altri politici (in Calabria ve ne sono alcuni che ipocritamente da una vita campano solo di questo), ma probabilmente un modo sincero di manifestare gratitudine verso coloro i quali lo hanno portato da giovane medico al proscenio più visibile della politica regionale e nazionale. Guardandolo, quel nuovo detenuto, ti viene da pensare a quei tanti politici “assolti” preventivamente da responsabilità ben più pesanti di quelle per le quali lui andrà a pagare. Portando nel carcere soltanto il Vangelo. E nel cuore tanto dolore, il peso di alcuni gravi errori, e qualche speranza.
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