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di FRANCESCO BOCHICCHIO
MARCHIONNE, uomo dell’anno, ha salvato la Fiat. Ha rilevato la Chrysler salvando anche questa, sta cambiando le regole della contrattazione sindacale, imponendo le regole aziendali al sindacato, anche a danno dei diritti dei lavoratori, espellendo dall’azienda i sindacati scomodi quale la Fiom. E’ il nuovo alfiere dell’Italia moderata contro ogni colorazione di sinistra economica. Esaltato dai moderati (con un commentatore insigne di solito misurato quale Sergio Romano che questa volta si commuove e sconfina nell’elegia) ed anche dalla sinistra maggioritaria, Marchionne corre il rischio di diventare il nemico della sinistra non omologata. Sarebbe un modo improprio di porre l’approccio al problema: Marchionne è, se non un genio, un uomo di assoluto spicco, capace di risanare la Fiat e quindi meritevole di rispetto, perché senza aziende sane tutta l’economia, e con questa la società, va in malora. La polemica sull’elevata remunerazione di Marchionne è evidentemente degna di miglior causa: un alto “manager” in grado di creare e preservare valore aziendale merita di essere adeguatamente ricompensato: siamo in un sistema capitalistico, occorre ricordare, e una politica di incentivi è necessaria. Ma qualsivoglia sistema economico senza incentivi è condannato allo stallo. In più, con le stragrandi doti di intelligenza di cui è provvisto – non si parli di genio solo per non esagerare – ha posto in scacco il sindacato imponendo il volere aziendale. Anche qui, il punto di partenza di Marchionne non può non essere condiviso: la battaglia contro l’assenteismo è fondamentale, e l’assenteismo danneggia anche gli operai meritevoli, in quanto senza produttività l’azienda va in crisi e comunque non può permettersi salari alti. Il sindacato ha sbagliato a non far sua la battaglia contro l’assenteismo. Marchionne ha quindi colto l’occasione per azzerare i diritti degli operai e l’unica forza sindacale reattiva – la Fiom – ma non è colpa sua se gli altri sono deboli, a lui spetta fare l’imprenditore, mentre a difendere gli operai ci devono pensare gli altri. Quindi, viva, viva, viva Marchionne? Perché no, se si vuol evidenziare che è un imprenditore eccezionale e un imprenditore eccezionale può dare vitalità all’economia italiana, che di positivo ha ben poco. Ma, il discorso diventa ben più complesso se dall’esaltazione, giusta e doverosa di Marchionne quale imprenditore, si passa ad una valutazione generale di tutela dell’economia italiana, perché i commentatori, entusiasti, a destra e a centro – fin qui non ci si stupisce più di tanto – e a sinistra – e qui lo stupore è notevole, ma la sinistra italiana è in grado di stupire con effetti eccezionali, purtroppo solo negativi – non si limitano a salutare la presenza prepotente di un imprenditore eccezionale, ma vedono in Marchionne un elemento positivo per il rilancio di tutta l’economia e addirittura della società italiana, quale fondatore di un nuovo sistema di relazioni industriali da prendere a modello. Qui, la distanza deve essere netta: è vero che un imprenditore eccezionale è un elemento di rilancio della vitalità dell’economia italiana, ma occorre vedere il costo con cui ciò si realizza: e, con buona pace dei “liberali realisti”, un sistema di relazioni industriali che azzera i diritti degli operai e pone all’indice la componente sindacale più rappresentativa, solo perché non allineata, non ha nulla di positivo e non può essere a modello di nessuno se non per i regimi sudamericani e autoritari in genere. E qui che occorre criticare Marchionne: critica ben difficile, in quanto non si può criticare agevolmente un imprenditore se i sindacati e la sinistra sono deboli. La critica va posta sul piano della valutazione generale dell’imprenditoria italiana, sul piano di un suo interesse generale e soprattutto sul piano della sua idoneità a farsi classe generale, a farsi carico veramente nei fatti e non solo a parole dell’interesse generale. A porre in dubbio tale capacità dell’imprenditoria italiana fu, alla fine degli anni ’70, una voce al di sopra di ogni sospetto, Guido Carli. Vi è nell’imprenditoria italiana una incapacità di farsi carico veramente dei problemi del Paese e di assumere comportamenti coerenti nelle varie fasi dei mercati. Tale incapacità è ovviamente presente in Marchionne, bravissimo nel risollevare la Fiat, ma che ha potuto contare su uno straordinario aiuto pubblico, con le banche che hanno concesso una moratoria di grande rilievo in relazione agli affidamenti, e che adesso, immemore degli aiuti, minaccia di trasferire la produzione all’estero, in mancanza di resa del sindacato. In via più generale, inquietante si presenta la liquidazione dei diritti del lavoratore e l’annientamento di forze sindacali non allineate: certamente, si può fondatamente sostenere, come visto, che la tutela di tali posizioni spetta, non all’impresa, ma al sindacato ed alla politica, massime di sinistra, e se il sindacato e la politica di sinistra sono indifferenti sul punto, non si può far gravare la croce sull’impresa privata, impresa privata che tende al massimo profitto e quindi al ridimensionamento dei suoi avversari. Il problema è che un capitalismo selvaggio, senza limiti e senza contraltari, alla fine provoca il disastro, come mostrato dalla crisi finanziaria. Il liberismo è fallito, è bene non dimenticarselo: gli spiriti animali del capitalismo senza limiti diventano sin troppo “animali”: una sana socialdemocrazia è l’unica via per salvaguardare il capitalismo impedendogli di imboccare la via della rovina. Se l’estrema sinistra errava nel considerare con sussiego la strada socialdemocrazia, in quanto l’alternativa rivoluzionaria è certamente più affascinante ma priva di concretezza realizzativa, errore più grave è compiuto dagli imprenditori che sorridono ad un liberiamo certamente più compiacente nei loro confronti ma privo di capacità sanante (degli immani vizi del capitalismo). Tale problematica dovrebbe certamente non essere assente nel rappresentante della più importante azienda italiana: Marchionne, e con lui l’imprenditoria italiana, sta mancando l’ennesimo appuntamento con la storia, e questa volta non vi sarà appello. Agnelli fu incapace di far assumere all’imprenditoria italiana la svolta di assunzione di responsabilità, ma fu peraltro alieno da ogni idea di piegare ed umiliare i sindacati. Con Marchionne si registra un passo indietro: non gli si chiede di diventare innaturalmente socialista, ma gli si ricorda che Walter Rathenau, esponente di spicco dell’imprenditoria tedesca dopo la fine della prima guerra mondiale e liberale progressista, pagò con la vita, da parte di estremisti di destra, l’incondizionata accettazione della Repubblica di Weimar e del tentativo socialdemocratico. Durante il fascismo non si vedono esempi analoghi nell’imprenditoria italiana. “Ahi serva Italia” .

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