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Alcune centinaia di immigrati africani sono scesi in piazza stamani a Rosarno ad un anno esatto dalla rivolta che scoppiò dopo il ferimento di due extracomunitari e la reazione violenta di una parte della popolazione. Almeno 300 immigrati hanno dato vita ad un corteo nel centro di Rosarno per chiedere diritti sul lavoro e condizioni di vita migliori. La richiesta principale avanzata dai migranti è quella dei documenti che consentono di trovare lavoro. Molti di loro, infatti, come hanno spiegato gli aderenti alla rete Radici che insieme alla Cgil ha promosso l’iniziativa per «una riconciliazione» con la città, sono richiedenti asilo. Ciò significa che possono stare regolarmente in Italia, ma non possono lavorare. Il che, sotto questo profilo, di fatto, li pone alla stregua degli irregolari e sono così costretti a lavorare in nero.
Al corteo ha portato il suo saluto anche il neosindaco di Rosarno, Elisabetta Tripodi, che poi è tornata in Comune per lavorare anche all’allestimento del campo di accoglienza che dovrebbe essere realizzato nella prossima settimana. Il corteo è aperto da uno striscione con la scritta Rosarno tra le date del 7 gennaio dello scorso anno e del 7 gennaio di quest’anno. Numerosi i cartelli con scritte quali «Permesso di soggiorno», «Lavoro equo», «Diritti e dignità».
ABITANTI DI ROSARNO PRESENTI MA NON PARTECIPANO
Gli abitanti di Rosarno hanno seguito il corteo dei migranti che si è svolto stamani ma non vi hanno partecipato. Tanti cittadini hanno seguito lo svolgersi della manifestazione dai balconi, fermi davanti ai negozi, ma nessuno si è aggregato al corteo. Pochi anche i commenti. Un uomo di una cinquantina d’anni, al passare di un furgone della Flai-Cgil si è rivolto all’autista dicendo «siete voi sindacati la rovina dell’Italia. Qui non siamo razzisti, ma sono gli stessi rosarnesi che muoiono di fame». Un giudizio condiviso da un’anziana, che poco distante ha commentato: «Qui non abbiamo lavoro per noi come ce ne può essere per gli altri».
ROSARNO UN ANNO FA
Un anno dopo è ancora vivo il ricordo di quel 7 gennaio 2010, quando la comunità nera di Rosarno si riversò in strada per protestare violentemente contro condizioni di vita in cui erano costretti vivere nei ghetti di Rognetta e dell’ex Opera sila e le continue intimidazioni da parte della criminalità locale. In un anno la ferita a Rosarno è ancora aperta anche se il numero di immigrati africani rispetto agli anni passati è nettamente inferiore. A fronte dei 2500 circa censiti lo scorso anno si è scesi a circa 800 di quest’anno. Quello che non è cambiato sono le condizioni di vita di coloro che hanno deciso di ritornare nella Piana di Gioia Tauro per cercare lavoro. L’alta concentrazione nei ghetti degli scorsi anni ha lasciato il posto ad una presenza più discreta. I giovani provenienti dall’Africa hanno trovato riparo nelle campagne, in casolari abbandonati senza luce nè acqua.
Si può sostenere che il vero problema ad un anno di distanza non è più di ordine pubblico ma economico e sanitario. Sotto il profilo umanitario stanno facendo tanto le associazioni di volontariato che, come gli anni passati, sono impegnati costantemente a rendere più accettabili le condizioni di vita degli stagionali.
NASCE UN CENTRO CHE ACCOGLIERA’ GLI IMMIGRATI
Tra pochi giorni lasceranno le baracche indegne in cui vivono senza luce e senza acqua per trasferirsi in strutture provvisorie ma sicuramente più dignitose, con docce e bagni. Sono i 120 migranti stagionali impiegati nei campi di Rosarno nella raccolta degli agrumi che potranno beneficiare del campo che sarà allestito dall’Amministrazione comunale e dalla Protezione civile regionale e che potrebbe essere ultimato già la prossima settimana. L’intervento, certo, non risolve l’emergenza abitativa dei circa 800 africani che vivono nella Piana di Gioia Tauro, ma costituisce, nelle intenzioni dell’Amministrazione, una prima risposta al problema degli alloggi.
I sopralluoghi sono stati fatti e l’Amministrazione, spiega il sindaco, Elisabetta Tripodi, ha già chiesto l’allaccio provvisorio per l’energia elettrica e poi provvederà ad installare i bagni chimici e le docce. Si tratta del primo intervento del genere ad un anno dalla rivolta, con l’offerta abitativa che, rileva la rete Radici di Rosarno, resta «ampiamente insufficiente rispetto ad una domanda che nessuna istituzione si è ancora una volta e incredibilmente preparata ad accogliere».
Di contro, sottolinea l’associazione, «è lunga e corposa la storia dei progetti annunciati e mai partiti, come quando, nel gennaio 2007, fu sottoscritto un protocollo per trasformare l’ex cartiera in un centro di accoglienza e aggregazione sociale. Il progetto naufragò pochi mesi dopo col ricorso della ditta arrivata seconda che bloccò tutto».
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