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di FRANCO CRISPINI
Studenti insolentiti da qualche ministro e minacciati di “arresti preventivi”: questo il clima in cui il cosiddetto “governo del fare” forte dei tre voti di fiducia ottenuti giorni fa in Parlamento, fa approvare mercoledì 22, in via definitiva, al Senato, il Decreto Gelmini. L’appoggio di Fini e le opposizioni dal Pd a Idv a Udc conteranno niente: il duo “minoritario” Pdl e Lega può dimostrare con un importante provvedimento, di essere vivo e operante, e non importa con quali effetti negativi su istituzioni come l’Università. Conterrà, forse, anche qualcosa di positivo quanto ai dispositivi dell’organizzazione interna (molto resterà da fare alle commissioni chiamate ad elaborare gli Statuti degli Atenei), ma quel che di fondamentale manca al Decreto Gelmini ora divenuto Legge è moltissimo altro, e proprio relativamente a una linea di intendimenti ideali dell’istituzione universitaria pubblica. Non conviene più sbizzarrirsi ancora in concettismi politologici nell’analisi del testo, ma bisogna in primo luogo non lasciarsi sfuggire che esso è nato in un vuoto, è un prodotto burocratico cui deputati e senatori hanno sovrapposto e aggiunto tutte le loro contraddizioni ed una buona dose di incompetenza. Poco ha potuto contribuire la comunità universitaria nelle sue varie componenti, e la stessa partecipazione della Conferenza dei rettori non sembra sia stata determinante in senso qualitativo, probabilmente condizionata dal ricatto di una erogazione di fondi per le urgenze di bilancio, da mettere dentro il Decreto delle “Mille Proroghe”. Quanto anche qualche pretesa di innovazione e modernizzazione degli Atenei italiani, ritenuti afflitti da più mali di quanti in tanti anni ne avesse accumulati per colpe da distribuire in misura eguale su tanti soggetti (mondo accademico, carenza legislativa, ed altri), si fosse voluta affidare alla riforma Gelmini, il vistoso deficit che essa presenta sta nel non avere aperto i canali necessari a fare venire avanti fresche energie giovanili, a dare ad esse una garanzia di ampio investimento nell’impresa dei saperi, della ricerca, delle professioni, e così facendo, trascurando cioè la componente dinamica rappresentata dalle giovani forze, si è tolta all’Università la dimensione che le è più propria, quella della apertura sul futuro. Fa meraviglia, o meglio si comprende poco, quanto ha dichiarato il professor Decleva, presidente della Crui: la riforma può in parte migliorare le aspettative giovanili; «toglie molte ombre allo stato di incertezza in cui ora vivono i giovani». Per fortuna, Decleva attenua (vedi quel “in parte”) qualche sua affermazione e non può fare a meno di riconoscere che i «giovani sono preoccupati a ragione per il loro futuro». Come si può dunque avere apprezzamenti per il decreto Gelmini e chiedere che faccia presto il suo corso senza trovare più alcun impedimento? Purtroppo il presidente della Conferenza dei rettori e tutti gli altri saranno presto accontentati; il Senato berlusconiano varerà la riforma, per i giovani che la rifiutano non restano che altri attacchi squadristici, altre villanie, denunce, arresti, nessuna attenzione alle loro angosce per un presente ed un futuro che li marginalizzano. Ma quale l’assillo di queste ore che precedono la vittoriosa affermazione di un governo che con quel tipo di riforma universitaria crede di aver dato prova di sapere innovare una istituzione per la quale passa l’avvenire stesso dei giovani, che è poi la misura di come una società vuole trasformarsi e crescere? E’ una preoccupazione che riguarda fondamentalmente una eventuale minaccia all’ordine pubblico portata dalle modalità che assumerà la protesta studentesca: nessuna voglia di capire che cosa può conferire toni aspri alla rivolta giovanile esasperata da tante provocazioni ma soprattutto da una sordità di fondo che sbarra le porte ad ogni insoddisfazione e rende assurdi gli irrigidimenti che hanno portato a trattare l’Università non come una istituzione pubblica, cioè un grande strumento della formazione delle nuove generazioni del nostro Paese, bensì quale campo di sperimentazione di una idea di subalternità culturale. Comunque, la intensa e lunga lotta dei ragazzi universitari che è riuscita anche a coinvolgere tanta parte dell’opinione pubblica, è venuta ad infrangersi contro il muro di una maggioranza di governo che ha puntato a mettere i lacci ad una realtà che è refrattaria ad ogni imbrigliamento, che nell’avviare alla ricerca e alle professioni sa trasmettere ai giovani solo stimoli a maturare una coscienza libera, non asservita, creativa. Solo in questo modo ci si può affacciare sul futuro, frequentando una Università vitale, non mortificata da vecchie e nuove soggezioni, non impoverita delle risorse necessarie per avere strumenti alti di formazione. Quanto a quello che potrà succedere in occasione del sì definitivo alla riforma, c’è veramente da sperare che non si abbiano deprecabili incidenti, che né ragazzi né forze dell’ordine abbiano a patire seri e gravi colpi, entrambi su quelle piazze per difendere cause giuste.

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